Di Ugo Bardi, Marzo 2004
“L’età della pietra non finì perchè finirono le
pietre, l’età del petrolio non finirà perchè finirà il petrolio”, Ahmed Zaki
Yamani.
La frase di Yamani
sulle pietre e sul petrolio ha avuto molta fortuna negli ultimi tempi, quando
si parla sempre più spesso di problemi di approvvigionamento di petrolio
greggio e a volte, senza mezzi termini, di “fine del petrolio” imminente. La
frase di Yamani sembra indicare, invece, che il petrolio non finirà mai e
questo può sembrare tranquillizzante. Ma possiamo basarci solo su questa frase
per inquadrare un processo cosi’ complesso come l’approvvigionamento
petrolifero mondiale? Possiamo pensare che gli eventi della remota “età della
pietra” siano rilevanti per la nostra attuale situazione? E, in fin dei conti, chi
è esattamente Yamani?
Ahmed Zaki
Yamani, a cui spetta il titolo onorifico di “sceicco”, è nato nel 1930, Ha
studiato in Egitto e negli Stati Uniti ed è stato il ministro del petrolio in
Arabia Saudita dal 1962 al 1986. E’ tuttora il presidente del Centre for Global
Energy Studies, di Londra. La famosa frase su petrolio e pietre è stata detta,
sembra, per la prima volta in un intervista con l’agenzia Reuters nel 2000. La
completa frase di Yamani recita:
Nei prossimi
trenta anni ci sarà una grande disponibilità di petrolio e nessun compratore.
Il petrolio sarà lasciato sotto terra. L'età della pietra non finì perchè ci fu
una mancanza di pietre, così l'età del petrolio non finirà perchè mancherà il
petrolio
Nella stessa
intervista del 2000, Yamani prevedeva anche un forte ribasso nei prezzi del
petrolio dal 2001 in poi. Su questo punto, va detto che la previsione di Yamani
si è rivelata completamente sbagliata. Apparentemente, quando si tratta di
petrolio neanche l’ex ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita ha poteri
profetici. Ma sappiamo che le predizioni dei prezzi sono estremamente difficili
e questo errore non diminuisce il valore del concetto espresso da Yamani con la
sua famosa frase, con la quale è riuscito a condensare con grande efficacia un’intera
branca della scienza dell’economia, quella dello sfruttamento delle risorse
minerarie.
Il primo a
occuparsi dell’economia delle risorse minerarie è stato l’americano Harold
Hotelling negli anni 1930. Il modello di Hotelling è estremamente semplificato
e non si può pretendere che descriva le cose in modo quantitativo. Tuttavia, il
nocciolo del modello è quello giusto e non occorre essere economisti per
afferrare il concetto. Hotelling dice semplicemente che, via via che un
minerale viene estratto e progressivamente si esaurisce, il costo dello stesso
aumenta fino a che non si raggiunge il punto in cui diventa economico sostituirlo
con un’altro tipo di risorsa. Da questo consegue che una risorsa mineraria non
verrà mai, di norma, sfruttata fino all’ultimo.
Questo è il
senso del commento di Yamani, che ha fatto notare come le pietre non sono state
sfruttate fino all’esaurimento prima di essere sostituite dai metalli. Allo
stesso modo, possiamo dire che non ci sarà mai una “fine del petrolio” Ben
prima di arrivare all’ultima goccia dell’ultimo pozzo, l’estrazione diventerà troppo
costosa per essere continuata. A questo punto, come dice Yamani “il petrolio
sarà lasciato sotto terra”. Ovviamente, è anche una questione di terminologia:
possiamo benissimo dare il nome di “fine del petrolio” a questo punto di
pareggio economico anche se questo non corrisponde alla fine fisica del petrolio
stesso. Necessariamente, ci sarà un momento nel futuro in cui usare il petrolio
come combustibile sarà altrettanto improponibile quanto per noi oggi sarebbe usare
coltelli da cucina fatti di selce scheggiata.
L’età della
pietra è cosa per noi un po’ remota, ma ci sono molti altri esempi di
sostituzione di risorse, più vicini a noi nel tempo. Possiamo pensare a quando
il carbone fossile sostituì il carbone di legna in Inghilterra nel diciottesimo
secolo, oppure a quando il petrolio sostituì l’olio di balena come combustibile
per le lampade nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Il secondo
esempio, quello dell’olio di balena/petrolio è particolarmente interessante in
quanto illustra un altro punto importante della faccenda. Yamani, Hotelling e
il senso comune dicono tutti che la sostituzione di una risorsa con un’altra avverrà
a un certo punto prima dell’esaurimento totale, ma non è affatto detto che la
risorsa abbandonata sia sia ancora abbondante come lo era la pietra alla fine
dell’età della pietra. Nel caso dell’olio di balena, invece, sappiamo che la
sostituzionè ebbe luogo in un momento di scarsità di risorse. Le balene, è
vero, non sono una risorsa minerale; ma se vengono cacciate a un ritmo
superiore a quello con cui si riproducono finiscono per esaurirsi allo stesso
modo.
Verso l’inizio
del secolo diciannovesimo, l’olio di balena era diventato uno dei principali
combustibili per l’illuminazione domestica. Era una cosa talmente ovvia che
Herman Meilville ci parla a lungo della
caccia alla balena nel suo “Moby Dick” senza mai sentire il bisogno di
specificare a cosa serviva quell’olio tanto pregiato che se ne ricavava. Ma, a
furia di cacciarle, le balene si fecero scarse. Non sparirono completamente, come
è ovvio: dopo tutto ci sono ancora balene negli oceani. Però l’olio di balena diventò
più costoso. A un certo punto ci si accorse che le lampade funzionavano anche
con il petrolio e che questo costava di meno. Questo fu, in effetti, il primo
uso commerciale importante del petrolio, la cosa che dette inizio a quella
rivoluzione che portò il petrolio a essere il combustibile principale usato al
mondo.
Allora, se è
probabile che una punta di freccia in acciaio è sempre migliore di una di selce
scheggiata, è anche vero che il petrolio come combustibile per lampade è molto
meno buono dell’olio di balena. Anzi, è una discreta schifezza. Le lampade a
petrolio sono state in uso in campagna fino agli anni 1950 in Italia e non sono
difficili a trovare, come pure è ancora possibile trovare il “petrolio
lampante” in commercio. Provate ad accenderne una in casa: può forse essere una
cosa romantica, ma dopo un oretta vi accorgerete che l’interno del vostro naso
è diventato tutto nero e che l’intonaco del soffitto si sta annerendo allo
stesso modo. Questo effetto non si verifica con l’olio di balena o altri oli
animali e vegetali. Per noi è un po’ duro pensare di usare una lampada
domestica che in poche ore ci riduce i polmoni come se avessimo fumato dieci
pacchetti di sigarette senza filtro. Un tempo, sembrerebbe, la gente non si
preoccupava troppo di queste cose; ma gli effetti dannosi per i polmoni c’erano
lo stesso.
Quindi, la
sostituzione di una risorsa con un’altra non avviene sempre perchè la nuova
tecnologia è migliore. Può succedere altrettanto bene che sia peggiore, ma meno
costosa. In generale, ci il punto di sostituzione sarà determinato da una
combinazione di fattori tecnologici e fattori economici. Tornando alla
questione della “fine del petrolio”, entrambi questi fattori giocheranno un
ruolo. Su questo punto si parla spesso di “piramide delle risorse”. Si dice che
può essere vero che il petrolio convenzionale sta diventando scarso, ma è
altrettanto vero che l’aumento dei prezzi di mercato rende progressivamente
conveniente sfruttare risorse difficili e costose, allargando sempre di più la
base della piramide. Questo non elimina i limiti fisici dell’esaurimento ma,
secondo questa interpretazione, ci sarà possibile accedere a risorse di
petrolio sempre più abbondanti per tempi ancora lunghi, forse secoli.
Tuttavia, se
esaminiamo la questione alla luce del principio di Yamani, vediamo anche che
non easuriremo mai la piramide delle risorse petrolifere. Ben prima di essere
arrivati a raschiare le ultime gocce di petrolio dai vari catrami e bitumi
esistenti sulla crosta terrestre, ci troveremo di fronte a fattori economici
che ci costringeranno a cambiare tecnologia. Su questi fattori, possiamo fare
anche qualche stima quantitativa basata sui prezzi del petrolio nel passato. Per
tutto il periodo di grande espansione economica dalla fine della seconda guerra
mondiale ai primi anni 1970, il prezzo del petrolio è stato approssimativamente
costante intorno ai 10 dollari al barile (dollari attuali, tenendo conto
dell’inflazione). Il prezzo è saltato a oltre i 70 dollari al barile durante il
periodo delle “crisi del petrolio” (circa 1975-1985) per poi mantenersi intorno
ai 15-20 dollari al barile nel periodo fra il 1985 al 2000. Dal 2000 a oggi, i
prezzi si sono sempre mantenuti oltre i 30 dollari al barile. Notiamo anche che
il costo del barile non è l’unico costo associato al petrolio, anche se è
quello più ovvio e più visibile. Esistono anche costi cosiddetti “esterni”,
ovvero che vengono pagati dalla società piuttosto che da chi usa il petrolio.
Questi costi sono associati all’inquinamento, al riscaldamento globale, alle
perdite di petrolio e altro: sono difficili da quantificare ma non sono meno
reali degli altri e qualcuno, bene o male, li deve pagare.
Il prezzo del
petrolio ha, evidentemente, un forte effetto sull’andamento dell’economia
mondiale. Sappiamo che a 10 dollari al barile, l’economia va molto bene e si
espande rapidamente. Fino a che resta sotto i 20 le cose vanno ancora abbastanza
bene. A 70 dollari al barile, abbiamo visto l’economia mondiale collassare in
una delle più gravi crisi economiche della storia. Ai valori attuali (35-40
dollari al barile) non siamo al collasso, ma in una grave recessione. Il
petrolio è in effetti una delle risorse di base dell’economia mondiale, tuttora
la più importante, generando quasi il 40% dell’energia primaria e circa il 90%
dei carburanti per il trasporto. E’ vero che il petrolio rappresenta solo una
frazione del valore monetario dell’economia mondiale, ma è anche vero che senza
petrolio non esisterebbe un’economia mondiale.
Evidentemente,
ci sono dei limiti economici allo sfruttamento della piramide delle risorse. E’
vero che via via che i prezzi aumentano possiamo accedere a risorse sempre più
abbondanti, ma è anche vero che oltre un certo limite non ce lo possiamo
permettere. Può darsi che arriveremo al punto in cui sarà economicamente
conveniente estrarre, per esempio, petrolio da qualche catrame a un costo
intorno ai 70 dollari al barile, ma a questo punto l’economia sarà a al collasso
come lo era nel 1980. Risorse petrolifere estraibili a costi ancora superiori
sono, di fatto, inutili indipendentemente dalla loro abbondanza. Puo’ darsi che
nuove tecnologie di estrazione riducano i costi, ma sono dei limiti fisici alla
possibilità di estrarre risorse con un guadagno di energia netto.
Quindi, la
sostituzione del petrolio con altre risorse è matura. Sta già avvenendo e si
concluderà ben prima di poter accedere ai livelli più bassi della piramide
delle risorse petrolifere. Il punto è che la risorsa che sostituirà il petrolio
non sarà necessariamente una risorsa così efficiente e a buon mercato come lo è
stato il petrolio negli anni dell’abbondanza. Altri combustibili fossili (gas
naturale e carbone) non hanno la stessa versatilità e basso costo di un combustibile
liquido e facilmente trasportabile come lo è il petrolio. I reattori nucleari hanno
i loro problemi e le fonti rinnovabili sono ancora costose. Per ora manca la
“soluzione miracolo” che potrebbe essere la fusione nucleare che, però, appare
ancora molto lontana nel tempo. Può darsi dunque che la sostituzione del
petrolio si riveli difficile. Non è detto che tecnologie diverse da quella del
petrolio saranno in grado di dare uno stile di vita paragonabile all’attuale
agli 8-10 miliardi di esseri umani che le proiezioni danno come la popolazione
prevista per il pianeta verso la metà dl ventunesimo secolo.
Quindi, se lo
Sceicco Yamani aveva ragione con la sua famosa frase, questa non deve
necessariamente essere presa come un indicazione che non ci sono problemi e che
non dobbiamo preoccuparci. Yamani parlava da economista, ma l’economia, come si
sa, è dominata dalla cosiddetta “mano invisibile” e non è detto che questa mano
non ci prenda tutti quanti a sonori ceffoni nel prossimo futuro. Quello che
possiamo e dobbiamo fare per evitare traumi economici è prepararci per tempo e
cercare di sviluppare già da ora tecnologie energetiche che permettano di
sostituire il petrolio.
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