Ugo Bardi, Maggio 2004
L’economia
mondiale è una gigantesca macchina che consuma risorse e produce ricchezza. In
buona parte, le risorse consumate sono risorse
minerali. E’ abbastanza ovvio che, a furia di estrarre una risorsa minerale,
un giorno o l’altro ci potremmo trovare di fronte alla sua fine fisica. Nel
caso di una risorsa importante, o addirittura fondamentale, come per esempio il
petrolio, se arrivassimo a questa fine fisica senza preavviso potremmo trovarci
in grossa difficoltà la macchina economica, D’altra parte, è anche vero che
estrarre o non estrarre il petrolio (o qualunque altra risorsa minerale) è una
decisione di tipo economico. Nessuno estrarrebbe petrolio se non ci guadagnasse
sopra e potrebbe darsi benissimo che l’andamento dell’economia ci porti a
lasciare in pace parte delle risorse disponibili per passare ad altre. Questo è
un concetto espresso in modo sintetico da Zaki Yamani, ministro del petrolio
dell’Arabia Saudita, con la sua famosa frase “L’età della pietra non finì
perchè finirono le pietre, lo stesso accadrà per il petrolio”.
Quindi,
che cosa abbiamo di fronte, esattamente? Un esaurimento brusco e disastroso,
oppure una graduale sostituzione delle attuali risorse minerali con altre, più
abbondanti? L’argomento è difficile, controverso, e ricco di polemiche. E’
ovvio che quando si ha a che fare con considerazioni che sono rilevanti per la
nostra sopravvivenza ci sono dei fattori emotivi e irrazionali che non si
possono ignorare. Perciò, il dibattito tende a estremizzarsi fra gli ottimisti
a oltranza (“abbondantisti”) e i pessimisti, detti anche “catastrofisti”. Prima
o poi, l’andamento delle cose ci dirà chi aveva ragione. Prima di arrivare a
quel punto, però, dovremmo cercare di prepararci per quanto possibile a quello
che accadrà. Se le teorie e i modelli ci dessero buone ragioni per considerare
che i pessimisti potrebbero non avere torto, non sarebbe un’idea sbagliata
quella di fare qualcosa per evitare una possibile catastrofe da esaurimento;
questo anche senza escludere che, poi, la situazione potrebbe rivelarsi meno
grave del previsto.
Queste
note hanno lo scopo di esaminare la questione “esaurimento delle risorse”
principalmente dal punto di vista economico con l’idea di cercare di stabilire
che cosa i modelli ci dicono per il futuro. Solo così potremo pensare a delle
strategie per evitare di essere presi alla sprovvista da qualsiasi cosa possa
succedere.
1. La visione degli economisti
Per
illustrare una comune posizione degli economisti sulla questione
dell’esaurimento delle risorse vale la pena di comiciare riportando il testo di
un’intervista fatta nel 1995 al premio nobel dell’Economia Milton Friedman
(presa da www.dieoff.org). L’intervistatore si chiama Ravaioli.
Friedman. Dal punto di vista economico, c’è più petrolio oggi di quanto ce ne fosse
cent’anni fa. Quando era ancora sottoterra e nessuno sapeva che c’era, non era
economicamente disponibile. Quando le risorse sono veramente limitate, i prezzi
salgono, ma il prezzo del petrolio è andato sempre più giù. Supponiamo che il
petrolio diventi scarso, il prezzo si alzerebbe e la gente comincerebbe a usare
altre fonti di energia. In un sistema appropriato di prezzi, il mercato si può
prendere cura del problema.
Ravaioli: Però sappiamo che ci vogliono milioni di anni per creare un pozzo di petrolio,
e non lo possiamo rifare. Affidarsi al petrolio vuol dire vivere sul nostro
capitale e non sull’interesse, che sarebbe la strategia intelligente. Non è daccordo?
Friedman: Se vivessimo sul capitale, il prezzo di mercato salirebbe, il prezzo di
risorse effettivamente limitate salirà col passare del tempo. Il prezzo del
petrolio non è aumentato, perciò non stiamo vivendo sul capitale. Come sempre
succede per risorse veramente limitate
Ravaioli: Naturalmente, la scoperta di nuovi pozzi di petrolio ha dato l’illusione
di petrolio illimitato.
Friedman: Perchè un’illusione?
Ravaioli: Perché sappiamo che è una risorsa limitata.
Friedman: Mi scusi, ma non è limitata da un punto di vista economico. Bisogna
separare il punto di vista economico dal punto di vista fisico. Molti degli
errori che fa la gente derivano da questo. Come le stupide proiezioni del Club
di Roma. Loro hanno usato un punto di vista puramente fisico senza prendere in
considerazione i prezzi.
Quello che
dice Friedman è, come minimo, sorprendente. Come è possibile dire che le
risorse minerali non sono limitate, quando tutti sappiamo che fisicamente lo sono? E’ abbastanza noto
che il fatto di ricevere il premio Nobel per qualcosa non garantisce dal dire
scempiaggini; anzi, più di un aneddoto indica che il fatto di aver ricevuto un
premio così prestigioso possa aver dato un “colpetto” a scienziati la cui mente
era indubbiamente brillante, ma anche un po’ instabile facendoli partire per la
tangente. Qui non possiamo escludere che Friedman fosse un pochino, diciamo,
“distratto” quando ha dato questa intervista. Ma, in realtà, si limita a
illustrare un’opinione diffusa fra gli economisti a proposito dell’esaurimento
del petrolio. Ovvero, che non c’è niente di cui preoccuparsi, non c’è evidenza
di esaurimento delle risorse e il mercato si prenderà cura di tutto al momento
giusto. Tanto per fare un altro esempio, preso come indicativo di un certo
atteggiamento, possiamo citare la frase lapidaria di Jonathan E. Snow “Le
risorse esauribili non lo sono (mai)”.
Questa
visione degli economisti sembra spesso implicare che i prezzi siano il fattore fondamentale nella questione
dell’esaurimento delle risorse. In sostanza, secondo questa punto di vista, non
ci potrà mai essere un vero e proprio esaurimento delle risorse: via via che
una risorsa diventa scarsa, il suo prezzo aumenta e pertanto nuove risorse,
prima non utilizzate, entrano a far parte del mercato.
Ci si
riferisce a volte a questo punto di vista come quello che vede le risorse come
una “piramide”. L’altezza della piramide è un’indicazione dei costi, la
larghezza un’indicazione dell’abbondanza. La cima della piramide e formata
dalle risorse a basso costo; via via che la piramide si allarga abbiamo risorse
più costose ma più abbondanti. Secondo il concetto di “piramide delle risorse,”
l’estrazione di una risorsa mineraria non ne causa la scarsità, anzi, al
contrario, via via che la risorsa viene estratta diventa più abbondante sul
mercato. I meccanismi del mercato, secondo Friedman e altri, “si possono
prendere cura del problema”.
Per il
non-economista, questa fede nel potere del mercato appare quantomeno curiosa ma
– apparentemente – è ingranata in un certo modo di pensare degli economisti. Le
barzellette su questo atteggiamento sono molteplici, per esempio quella
dell’economista che va a caccia di elefanti in Africa ma non ritiene che sia
necessario portarsi dietro un fucile perché “gli elefanti si cacceranno da soli
se le condizioni di mercato lo renderanno conveniente”. E’ noto che la fede smuove
le montagne, almeno in teoria; in pratica magari non è cosa che riesce a tutti.
Diciamo che è vero che le leggi del mercato sono molto potenti ma, a volte,
potrebbe anche darsi che non sia il caso di interpretarle in modo troppo
fideistico.
Vediamo ora
di interpretare un po’ più in dettaglio questa posizione. Dato che, come
abbiamo visto, gli Economisti danno molta importanza ai prezzi, dobbiamo
cercare di capire a che cosa ci riferiamo esattamente.
2. Tendenze
storiche dei prezzi del petrolio
A quale
periodo si riferiva Friedman quando diceva che “il prezzo del petrolio è andato sempre più giù“? Si sa che il mercato ha la memoria corta e i
prezzi di solo qualche anno indietro sono ormai materiale archeologico. Nel
1995 Friedman probabilmente aveva in mente l’andamento dei prezzi dopo le
grandi crisi del petrolio che si sono esaurite nel 1985 circa. Se mettiamo in
un grafico l’andamento dei prezzi dal 1985 al 1995, dovremmo avere di fronte i
dati sui quali si basava Friedman, (figura tratta da dati ASPO,
www.peakoil.net):
Effettivamente,
per questo periodo di tempo limitato, possiamo dire che i prezzi del petrolio non
solo non sono aumentati, ma anche hanno mostrato una certa tendenza alla
diminuzione. Questa tendenza è continuata fino al 1999 circa quando i prezzi
del greggio sisono abbassati fino un valore di circa 10 dollari al barile. E’
sulla base di questi dati che, nel 1999, la rivista “The Economist” aveva
sventatamente predetto che “il petrolio a cinque dollari al barile potrebbe
essere dietro l’angolo”. Previsione che si rivelò poi clamorosamente sbagliata
quando, soltanto un anno dopo, il prezzo del petrolio era triplicato invece di
dimezzare.
Vediamo invece
l’andamento storico dei prezzi del petrolio su un intervallo più lungo:
Qui
vediamo una situazione completamente diversa da quella che poteva apparire
prendendo in considerazione solo i dieci anni dal 1985 al 1995. E’ difficile
estrarre dai dati una tendenza ben precisa. Cosa possiamo dire, per esempio,
della grande “fiammata” dei prezzi che si è verificata nel periodo 1973-1985?
Secondo un’interpretazione comune, è stata dovuta a fattori politici: il
cartello dell’OPEC, la combutta degli Sceicchi, la guerra arabo-israeliana del
1973, la caduta dello Shah in Iran, e altre cose. Per cui, secondo alcuni, quel
periodo di alti prezzi non dovrebbe essere considerato, in quanto un’anomalia
temporanea.
Anche
così, comunque, l’andamento storico dei prezzi non giustifica l’affermazione di
Friedman “Il prezzo del petrolio è andato sempre più giù”. Dopo la fase delle
crisi del petrolio degli anni 70-80, il prezzo del greggio non è mai più
ritornato al livello degli anni prima del 1970. E’ evidente, tuttavia, che
siamo di fronte a un andamento talmente complesso e influenzato da oscillazioni
incontrollabili. Questo rende difficile dare un’interpretazione dei dati sulla
quale tutti si possano trovare daccordo.
La situazione, in effetti, lascia tuttora spazio ad affermazioni “alla
Friedman” che i prezzi non aumentano, posto che si vogliano vedere gli attuali
aumenti, cominciati nel 2000, come un ulteriore anomalia dovuta a fattori
politici. Questa sembra essere la tendenza della maggior parte dei
commentatori, per i quali sembra automatico correlare ogni aumento dei prezzi
con qualche evento politico del momento, anche in assenza di evidenza che le
due cose siano correlate.
Entro
certi limiti, queste correlazioni si auto-avverano. Ovvero, se tutti si
aspettano che ogni volta che c’è un attentato da qualche parte i prezzi del
greggio debbano aumentare, è probabile che questi aumenteranno veramente.
Tuttavia, è anche vero che ci sono tantissimi attentati di questi tempi, e in
molti casi il giorno dopo il prezzo del greggio non aumenta affatto, anzi scende.
Comunque sia, tutti sembrano daccordo che attentati e fattori politici possono
avere, al massimo, effetti temporanei. Dovremmo invece cercare di interpretare
i dati un po’ più a lungo termine. Questo ha a che vedere con quelli che chiamiamo
“modelli economici”.
3. Il modello di Hotelling
In
generale, gli economisti si sono occupati molto poco di risorse minerarie
“esauribili”. La teoria economica delle risorse esauribili non è così ben
sviluppata e nota come quella generale dell’economia di mercato. Tuttavia
esiste un modello “classico” che fu espresso da Harold Hotelling negli anni
trenta e che prende tuttora il nome di modello di Hotelling dell’estrazione
delle risorse minerali.
Come nella
maggior parte dei modelli economici, il mondo reale viene modellizzato per
mezzo di un mondo virtuale in cui un certo numero di operatori (gli “agenti”)
agiscono sul mercato con l’obbiettivo di ottimizzare i loro profitti (si dice
anche che massimizzano la propria “funzione utilità”). Normalmente si suppone
che gli agenti abbiano una “conoscenza perfetta” di tutti i fattori del
mercato. Nello specifico del modello di Hotelling, si suppone che gli agenti conoscano
esattamente l’ammontare delle risorse, che sono in quantità finita e non
riciclabili. Si presuppone anche che chi estrae abbia il completo controllo sia
del mercato come della risorsa (sia un “monopolista perfetto”) e che cerchi di
massimizzare il profitto agendo sui prezzi di vendita. Per finire, si suppone
anche che il costo di estrazione sia zero; ma le cose cambiano poco se
supponiamo invece che sia costante.
Date
queste condizioni, la teoria di Hotelling parte dalla considerazione che chi
estrae la risorsa lo farà tenendo conto che una risorsa estratta oggi può
fornire un certo reddito correlato al tasso di sconto dell’economia. La stessa
risorsa estratta più tardi fornirà un reddito minore. Per questo motivo, per mantenere
costanti i profitti sarà necessario aumentare progressivamente i prezzi. L’aumento
dei prezzi avrà come conseguenza una riduzione della domanda e quindi della
produzione. Si suppone che il produttore agisca in modo tale da esaurire
completamente la risorsa stessa esattamente al momento in cui sarà più
economico passare a un’altro tipo di risorsa. Quest’ultima viene detta “risorsa
backstop”, che potremmo tradurre “risorsa tappo”.
La
matematica che sta dietro al modello di Hotelling non è banale, ma il risultato
finale è semplice. Si trova che, date le condizioni, il prezzo della risorsa
aumenta esponenzialmente con il tempo a un ritmo pari al valore del tasso di
sconto corrente (supposto costante). La produzione, invece, diminuisce, sempre
esponenzialmente. Il monopolista sceglierà un prezzo iniziale della risorsa (“Po”)
tale che l’incremento dei prezzi si troverà a intersecare il prezzo della
risorsa “backstop” esattamente al momento in cui la risorsa sarà stata
completamente estratta, ovvero al momento in cui la produzione va a zero.
Questo
andamento è mostrato nella figura seguente.
Già da
quanto detto, dovrebbe essere chiaro che la teoria di Hotelling ha poco o
niente a che vedere con il mondo reale, dove l’ammontare delle risorse non è
mai perfettamente noto ne’ la loro estrazione avviene a costo zero o costante.
Il tasso di sconto, poi, è tutto fuori che costante mentre nessuno sa
esattamente quale sia il prezzo della “risorsa tappo”, che comunque, anche
quello, non sarà certamente costante col tempo. In effetti, praticamente non
esistono esempi di estrazione di risorse minerali che abbiano seguito la teoria
di Hotelling. Solo di recente, un gruppo di economisti ha osservato che i
prezzi del legname pregiato ottenuto da antiche foreste sembrano avere un
andamento grosso modo simile all’aumento esponenziale previsto da Hotelling. In
questo caso, in effetti, alcune delle condizioni cruciali dell’ipotesi di
Hotelling sono soddisfatti, ovvero l’ammontare totale della risorsa è noto
(basta contare gli alberi rimasti) e l’ “estrazione” è, se non proprio a costo
zero, comunque a costi molto bassi (una sega a motore è tutto quanto è
necessario).
A parte
questo caso particolare, la teoria di Hotelling fallisce completamente in tutti
i casi noti. Basta considerare come, nel caso del petrolio, la produzione è aumentata al ritmo vertiginoso del 7%
all’anno dal 1930 al 1973 invece di diminuire come vorrebbe il modello Hotelling.
Se poi esaminiamo l’andamento dei prezzi
del greggio dal 1930 a oggi, vediamo che con tutta la buona volontà non c’è
nessun modo di descrivere i dati sperimentali con un incremento esponenziale.
Per il petrolio – come per quasi tutti i casi reali – il modello di Hotelling
semplicemente non funziona.
E’ curioso
che gli economisti continuino a parlare di una teoria che è stata dimostrata
falsa sperimentalmente in praticamente tutti i casi. Sarebbe come se i fisici
parlassero ancora di “etere cosmico” e i
chimici di “flogisto”. Tuttavia, la regola di Hotelling ha la curiosa caratteristica
che, pur partendo da assunzioni poco realistiche, arriva a delle conclusioni
che sembrerebbero, invece, apparentemente sensate, perlomeno da un punto di
vista qualitativo.
Se l’intuizione
vuole – correttamente – che i prezzi salgano se una risorsa si esaurisce. non è
detto affatto, però, che questo aumento dei prezzi sia graduale e regolare come
vuole Hotelling. Altri modelli possono implicare un aumento dei prezzi molto
più brusco, come vedremo adesso.
4. Il “modello Domopak”
Considereremo
ora un modello alternativo a quello di Hotelling. Come premessa, diciamo subito
che quello che chiameremo qui “modello Domopak” non è un modello standard della
teoria economica. D’altra parte, possiamo costruirlo facilmente sulla base di una filosofia non troppo
diversa da quella del modello di Hotelling; dunque perchè no?
Il modello
domopak parte da un’assunzione simmetricamente opposta a quella che fa
Hotelling a proposito della “conoscenza perfetta” dell’ammontare delle risorse
disponibile. Ammettiamo, come è perfettamente possibile, che la conoscenza dell’ammontare
delle risorse estraibili sia tutt’altro che perfetta da parte degli agenti.
Ammettiamo, anzi, che gli agenti non abbiano nessuna informazione sulla
quantità totale di risorsa disponibile. Questo corrisponde all’ “estrazione”
dell’alluminio da un rotolo di Domopak, quando succede che il rotolo è nascosto
dalla scatola e quindi non si sa esattamente quanto alluminio rimane.
Nel mondo
reale, i geologi possono stimare quanto petrolio è disponibile nei giacimenti.
Tuttavia, l’incertezza nei dati è tale che si può sostenere che l’assunzione
scelta per il modello domopak è più vicina alla realtà di quella di Hotelling
che prevedela “conoscenza perfetta” dell’ammontare delle risorse. Inoltre, l’esistenza
di indicazioni di massima che l’esaurimento è parecchio lontano nel tempo fa si
che gli operatori si comportino, in pratica, come se le risorse fossero
infinite anche se sanno che non lo sono. Nel mondo reale, nessuno
ottimizzerebbe la produzione di oggi tenendo conto di un possibile esaurimento
delle risorse in un futuro lontano 50 anni o più.
Assumeremo
pertanto che gli agenti ritengano che che le risorse siano abbondanti e che
agiscano di conseguenza. Le altre assunzioni del modello Domopak sono simili a
quelle del modello di Hotelling, fra le altre il monopolio del mercato da parte
dell’operatore che estrae la risorsa. Non abbiamo bisogno qui di assumere che
il costo di estrazione dell’alluminio sia zero, basta che sia costante.
L’interpretazione
dell’andamento dei prezzi nel modello Domopak non ha bisogno della matematica
complessa del modello di Hotelling. Che succede in questo caso? Succede che gli
operatori venderanno il prodotto a un certo prezzo che ottimizza i loro
profitti secondo i normali meccanismi dell’economia, ovvero il prezzo sarà
determinato dal valore della produzione che rende il costo marginale uguale al
beneficio marginale. Una volta che questo prezzo è stato determinato, rimane
costante.
Però c’è
un problema: la risorsa si esaurisce anche se gli operatori non se ne
accorgono. A un certo punto, – oops! – si arriva all’ultimo foglio. A quel
punto il prezzo salta di brutto al livello della “risorsa backstop”, potrebbe
essere un altro tipo di carta, diciamo carta oleata con la quale uno si deve
contentare se deve fare un pollo al cartoccio e ha finito l’alluminio. Il
“modello domopak” prevede dunque un prezzo costante della risorsa, interrotto a
un crto punto da un salto brusco verso l’alto.
Il modello
domopak è, ovviamente, molto semplificato, ma non più di quello di Hotelling.
Rispetto al modello di Hotelling, ha il vantaggio di descrivere con una precisione
sorprendente perlomeno una fase dell’andamento dei costi del petrolio, quella
che và dal 1930 al 1979 circa.
Tuttavia,
abbiamo visto anche come, dopo il balzo del 1973-1979 i prezzi del petrolio
siano scesi a partire da dopo il 1979, per stabilizzarsi approssimativamente
nel periodo 1985-1999. Possiamo interpretare questo andamento col modello
Domopak? Certamente, basta assumere la fase di alti prezzi corrisponda alla
fine del rotolo e a quell’intervallo di tempo che occorre per trovarne un
altro, diciamo andarlo a comprare al supemercato. L’andamento dei prezzi in
questo casio è una “greca” dove lunghi periodi di prezzi bassi (rotolo pieno) si
alternano a periodi di prezzi alti (rotolo vuoto). Nel mondo reale, questo corrisponde
alla fase i cui i pozzi e le infrastrutture esistenti non ce la fanno a
soddisfare la domanda e pertanto occorre investire in nuove infrastrutture e
per scavare nuovi pozzi.
Anche qui,
per quanto il modello sia molto semplificato, l’accordo con l’andamento reale non
è per niente cattivo, anzi lo possiamo considerare come sorprendentemente buono.
Non che il modello abbia capacità predittive, ma ci permette di interpretare,
più o meno, che cosa è successo ai prezzi del petrolio, che cosa sta succedendo,
e che cosa ci possiamo aspettare.
In
sostanza, nel 1970 circa, si è “esaurito un rotolo”. Il periodo seguente è
stato quello in cui è stato necessario investire tempo e risorse per mettere in
produzione un altro rotolo. Se esaminiamo l’andamento geografico della
produzione, possiamo anche identificare, sempre in modo molto approssimato,
qual’è quel “rotolo” che si è esaurito nel 1970. Sono i giacimenti del
nord-america che, verso il 1970, hanno raggiunto il loro picco di produzione. Da
quel punto, è stato necessario investire tempo e risorse per sviluppare i
giacimenti medio-orientali, come pure quelli del mare del nord. Quando questa
fase è terminata, i prezzi sono tornati a valori vicini a quelli di prima della
crisi. Sembrerebbe, dunque, che la crisi del 1973-85 non sia stata dovuta a
fattori politici, come comunemente si ritiene, ma a puri fattori economici.
Il
diagramma ci dice anche che siamo oggi di fronte a una nuova fase di salita
rapida dovuta all’esaurimento di un altro set di risorse importanti. Potrebbe
essere dovuto, per esempio, al raggiungimento del picco di produzione per i
pozzi del mare del nord, oppure a quello di un set importante di pozzi del
medio oriente, come quelli dell’Arabia Saudita. Purtroppo, il modello non ci
permette di fare predizioni precise. Potrebbe darsi che l’attuale fase di
crescita dei prezzi si sia già esaurita, oppure che debba ancora crescere e
forse anche arrivare a valori di prezzi dello stesso ordinedi grandezza del
1979. Potrebbe poi calare di nuovo. Le oscillazioni hanno un valore
sostanzialmente “frattale”, per esempio il picco dei prezzi del 1990 potrebbe
corrispondere al picco di quel “rotolo” che era la produzione sovietica.
Notiamo
anche un’altra cosa dal diagramma. Mentre la “greca” del modello prevede che i
prezzi ritornino allo stesso livello dopo ogni fase di “cambio di rotolo”, i
prezzi dopo la grande crisi non sono mai tornati ai livelli di prima della
crisi. Sembrerebbe che il nuovo rotolo non fosse della stessa buona qualità del
primo. In effetti, c’è poi un problema fondamentale, ovvero che a un certo
punto ci potrebbe essere “l’ultimo rotolo” finito il quale i prezzi non
ritorneranno mai più a un livello accettabile semplicemente perchè non ci sono
più risorse da estrarre.
Per
interpretare questo fenomeno, a questo punto dobbiamo cominciare a considerare
che, mentre i rotoli di domopak che si comprano al supermercato sono tutti
identici, i giacimenti petroliferi non sono tutti uguali. Il set di giacimenti
in produzione dal 1985 al 1999, circa, aveva un costo di estrazione che era,
evidentemente, maggiore di quello del set in produzione prima del 1973. Questo
differenziale di costo di estrazione è parte essenziale della teoria di Hubbert,
che andiamo ora a dscrivere.
4. Il modello di Hubbert
Il geologo
americano M. K. Hubbert fu il primo a osservare negli anni ’50 che la curva di
produzione di una risorsa minerale segue una “curva a campana” simmetrica.
Ovvero, la produzione sale fino a raggiungere un massimo e poi comincia a
declinare per andare progressivamente a zero. Nella storia della produzione
delle risorse minerarie ci sono parecchi esempi di curve a campana ben nette.
Fra queste la produzione di carbone dalle miniere della Pennsylvania e la
produzione di petrolio nel territorio degli Stati Uniti.
Il modello
di Hubbert descrive molto bene questi andamenti e permette di fare delle
previsioni quantitative che in molti casi si sono rivelate molto accurate. Una
di queste è, appunto, la produzione di petrolio negli Stati Uniti per la quale
Hubbert stesso aveva previsto la data della “cuspide” oltre un decennio prima
che questa si verificasse.
Tuttavia,
il modello di Hubbert non ha avuto molto successo con gli economisti. Il
problema principale era che il modello non prendeva in considerazione i prezzi.
Questo fatto è dovuto al modo in cui il modello è costruito; ovvero partendo da
presupposti completamente diversi da quella dei modelli economici classici.
La
differenza fra Hubbert e i modelli economici sta tutta nel concetto di “equilibrio”.
Secodo i concetti economici comuni, una volta raggiunto l’equilibrio, prezzi e
produzione si assestano nella condizione che in microeconomia si chiama
“MC=MB”, ovvero la condizione in cui i costi marginali (MC) di produzione sono
uguali ai benefici marginali (MB). A questo punto, produrre di più
significherebbe dover abbassare i prezzi e quindi ridurre i profitti.
Con il
petrolio e le altre risorse minerali, c’è una differenza fondamentale: ogni
anno che passa c’è meno petrolio da estrarre. Questo fa si che sia necessario accedere
a riserve sempre più difficili e di conseguenza più costose. Ammesso che a un
certo punto si sia arrivati a una condizione tipo MC=MB, l’aumento dei costi fa
si che questa condizione non sia mai stabile, ovvero non esiste un equilibrio a lungo termine
Secondo il
modello di Hubbert, c’è una prima fase in cui la produzione aumenta
esponenzialmente dato che i produttori re-investono parte dei loro profitti
nella produzione. A lungo andate, però, i costi di produzione continuano ad
aumentare e questo forza gli operatori ad aumentare i prezzi per mantenere un
profitto positivo. Il mercato reagisce con la diminuzione della domanda. Questo
causa un progressivo rallentamento della crescita della produzione che, a un
certo punto, inizia a diminuire dopo una cuspide detta “Il picco di Hubbert”.
Il processo continua finchè, a lungo andare, la produzione non va a zero.
Questo genera la classica “curva a campana” del modello di Hubbert.
Il fatto
che il modello di Hubbert sia sempre fuori equilibrio lo rende fondamentalmente
diverso dai modelli economici neoclassici. In sostanza, nel modello si assume
che sia la produzione a determinare i prezzi, esattamente il contrario
dell’assunto corrente che siano, invece, i prezzi a determinare la produzione. Hubbert
quantifica una condizione che gli economisti “alla Friedman” si sono
dimenticati di considerare quando parlano di “Piramide delle risorse” Ovvero,
che se un minerale è troppo costoso da estrarre, non sarà mai estratto;
indipendentemente da quanto sia abbondante (ricordiamoci, qui, anche di quello
che diceva Yamani: “L’età della pietra non finì perché finirono le pietre.....”
Possiamo
comunque dire qualcosa sui prezzi basandoci sul modello di Hubbert? Entro certi
limiti, si. Premettiamo che è ben noto il fatto che costi e prezzi sono due
entità ben diverse che non sono in un rapporto di proporzionalità ben definito.
Tuttavia, è anche vero che nessuno – di norma –
vende sottocosto e che pertanto, di solito, i prezzi non saranno mai
inferiori ai costi. Possiamo dunque azzardarci a comparare costi è prezzi nei
modelli di Hotelling e di Hubbert se teniamo ben presente che facciamo una
forte approssimazione che, tuttavia, ci potrebbe dare qualche indicazione per
quanto riguarda tendenze a lungo termine.
Nelle
simulazioni del modello di Hubbert ci sono vari modi per descrivere i costi. Un’assunzione
che da dei buoni risultati nel produrre curve simili a quelle osservate
storicamente, vuole che il costo di estrazione C(t) sia correlato alla quantità
di risorsa estratta secondo la formula:
C(t) = k·No/(No
– n(t))
Qui “n(t)” è l’ammontare totale di risorsa
estratta (funzione del tempo), mentre N è il totale estraibile. Se n è piccolo rispetto a N, i costi rimangono approssimativamente
costanti. Tuttavia, quando n diventa
comparabile a N, i costi vanno
crescendo molto rapidamente. La comparazione fra Hubbert (costi) e Hotelling
(prezzi) è mostrat nella figura seguente:
Evidentemente,
l’aumento dei prezzi/costi secondo il modello di Hubbert è molto più brusco che
nel caso del modello di Hotelling. In effetti, l’andamento dei costi nel il
modello di Hubbert ricorda molto quello descritto prima nel caso del “modello
domopak”, anche se in quest’ultimo caso l’impennata era ancora più brusca.
Anche secondo questo modello, dunque, quello che succede è che fino a un certo
punto il meccanismo dei prezzi non riflette l’effettiva scarsità della risorsa
estratta, fino a che, a un certo punto, il salto brusco verso l’alto non
segnala la cosa. A quel punto, tuttavia, potrebbe essere troppo tardi per
prendere provvedimenti senza la necessità di aggiustamenti traumatici.
5. Conclusione
Sarebbe
bello avere una teoria che prevede perfettamente l’andamento dei prezzi di
mercato di un bene, ma purtroppo tutti i modelli economici sono astratti nel
loro prendere in considerazione un mondo perfetto in cui tutti si comportano
secondo certe regole. La vita reale implica che qualcuno fa qualche scemenza,
qualcun altro ci specula sopra, qualcuno imbroglia e altri ci cascano. Questo è
quello che crea le folli oscillazioni del mercato che fanno la felicità degli
speculatori.
Tuttavia,
anche se non riusciamo a prevedere le oscillazioni di prezzi a breve termine,
si può fare qualcosa per gli andamenti a lungo termine; cosa che è fondamentale
per stabilire delle strategie. In sostanza, la domanda che ci siamo posti in
questa discussione è: dobbiamo cominciare già da ora a investire denaro
pubblico su tecnologie energetiche alternative a quelle basate sui combustibili
fossili, oppure possiamo tranquillamente aspettare che l’andamento dei prezzi
dia il “segnale” al mercato che è il tempo è venuto?
Quelli che
prendono queste decisioni pongono di solito la domanda agli economisti e questi
rispondono basandosi sui risultati dei loro modelli Bisogna fare però molta
attenzione a ragionare con i modelli. Interpretare il mondo reale secondo un
modello sbagliato porta sempre a risultati sbagliati, a volte con conseguenze
letali. Questo è vero specialmente per quei modelli che danno risultati
apparentemente in accordo con il senso comune e questo sembrerebbe il caso del
modello di Hotelling. In effetti, la conclusione principale del modello di
Hotelling sembrerebbe del tutto logica; ovvero il modello dice che il prezzo di
una risorsa limitata aumenta via via che questa si esaurisce. Il problema con
Hotelling è che il modello vuole che i prezzi salgano gradualmente; cosa che non si è verificata in pratica per tutti i
casi noti di risorse minerali. Questo
fatto ha indotto molti a saltare alla conclusione che le risorse stesse non
sono limitate. Questo è esattamente il ragionamento che ha fatto Friedman
nell’intervista riportata all’inizio. Ne consegue che non c’è niente di cui
preoccuparsi, il mercato si prendera cura di tutto, eccetera, eccetera.....
Questa
interpretazione della regola di Hotelling è estremamente pericolosa.
Sembrerebbe più logico, invece, che le risorse siano effettivamente limitate (e
sappiamo che fisicamente lo sono) ma
che sia la teoria ad essere sbagliata (sappiamo anche che la pratica vince
sempre sulla teoria). Cos’è allora esattamente che non gira nel modello? Come
quasi tutti i modelli economici, quello di Hotelling prevede un comportamento
razionale degli agenti nel quadro di una “conoscenza perfetta” del sistema
economico. In un certo senso, il sistema economico è un algoritmo, una specie
di immensa macchina che calcola i profitti e agisce in modo da ottimizzarli.
Non è sbagliato assumere che gli operatori economici reali si comportino in
modo razionale nel mondo reale. Quello che è sicuramente sbagliato è che esista
qualcosa come una “conoscenza perfetta”. Se questa conoscenza manca, come è
spesso il caso, l’algoritmo del mercato agisce secondo la vecchia regola del
“garbage in – garbage out”. Ovvero anche il computer più efficiente del mondo
produce risultati sbagliati se parte da dati sbagliati.
In
sostanza sistema economico non è più intelligente degli agenti che lo fanno
funzionare. Se gli agenti hanno ha disposizione dati scarsi, incerti, o
sbagliati, il sistema non può fare nessuna previsione per il futuro. Questo
potrebbe essere, appunto, il caso del petrolio, dove i dati disponibili sono
incerti e influenzati da considerazioni di tipo politico
I modelli
alternativi a Hotelling che abbiamo descritto ci dicono, invece, che il prezzo
di una risorsa esauribile potrebbe rimanere costante fino a che non si arriva a
un “punto critico” al di la del quale si osserva un’impennata brusca verso
l’alto. Sia il “modello domopak” descritto nel presente studio come il modello
di Hubbert sono modelli che prevedono che l’aumento dei prezzi potrebbe essere
estremamente rapido e prenderci di sorpresa.
Pertanto,
arriviamo a una conclusione forse difficile da digerire in un’epoca in cui il
liberismo economico è stato elevato al rango di ideologia ufficiale. La
conclusione è che i meccanismi del mercato potrebbero non essere sufficienti a
guidare la transizione dai combustibili fossili a altri tipi di energia
(nucleare o rinnovabile che sia) senza passare da una fase di prezzi alti e
incontrollabili che potrebbe avere conseguenze traumatiche sull’economia. Un
intervento pubblico importante che indirizzi in anticipo l’economia verso
energie alternative potrebbe evitare questa crisi e ottenere una transizione
“dolce”.