Ho fatto un sogno

Pubblicato su www.aspoitalia.net, 29 Marzo 2007


Vedevo le cose dall’alto, come se fossi stato a bordo di un elicottero. Però, non sentivo il rumore del motore! Sentivo soltanto il fruscio dell’aria tiepida che mi accarezzava il viso. Forse ero su un delta plano. Ma non doveva essere così, perché stavo comodamente seduto e, per giunta, avevo la consapevolezza di potere fermarmi in aria e restare immobile. Non solo, dovevo essere anche invisibile, come dimostravano con la loro completa indifferenza le rare persone che sorvolavo a bassa quota mentre viaggiavo. Ci sono! Deve trattarsi di un tappeto volante. La cosa non mi meraviglia minimamente. E’ come se usassi abitualmente tale magico mezzo di locomozione. Ma, si sa come sono fatti i sogni, non lo riesco ad accertare e forse non lo saprò mai.

Sta di fatto che sotto di me scorre un paesaggio brullo, arso dal sole, fatto di una ampia vallata contornata da colline sassose, dai pendii dolci coperti da una sterpaia giallastra. Da essa emergono qua e là blocchi di calcare grigio. Noto che i sassi sono smussati dagli agenti climatici e spiccano tra radi cespugli verdi di basso portamento. Dall’aspetto della vegetazione e dal tepore dell’aria deduco che siamo all’inizio dell’estate. E’ una giornata splendida, limpida e piena di sole.

E’ tarda mattinata e so che tra poco comincerà a fare molto caldo. Supero un dosso della collina e lo vedo! So che cercavo proprio quello. In lontananza scorgo una grande macchia di colore grigio scuro, dai riflessi azzurrini, che risalta sul giallastro del paesaggio circostante. Da questa distanza sembra un’enorme coperta che sia stata stesa ad asciugare al sole sul versante della valle che guarda a sud. Man mano che mi avvicino i dettagli si fanno più chiari. Non è un singolo tendone, ma l’enorme macchia si risolve in una decina di macchie azzurrine più piccole, separate una dall’altra da spazi geometrici precisi, recintati con siepi basse ben tenute che corrono ai lati di strade bianche. Avvicinandomi ancora, incomincio a distinguere bene la struttura fine delle singole macchie e a poterne giudicare le dimensioni in rapporto all’altezza delle siepi di recinzione e a quella delle strade. Ciascuna macchia occupa poco più che lo spazio di un campo di calcio, ad occhio e croce, un ettaro. Al suo interno si scorgono ora chiaramente numerosi pannelli, allineati da est ad ovest, messi rigorosamente in file successive, tutti inclinati di circa 38° rispetto al piano e collocati sui terrazzamenti del terreno, su cui anticamente crescevano i filari delle viti.

La disposizione dei pannelli sopra i grandi gradini è tale che, guardando gli impianti dal basso, dal fondo valle, non si notano le discontinuità tra le file successive ed il tutto sembra un enorme tendone grigio bluastro poggiato sul pendio della collina. Però, passandoci sopra a volo radente, posso ora vedere i singoli moduli fotovoltaici che compongono ciascun pannello. Finalmente posso dire che si tratta di impianti fotovoltaici!

Nel punto più elevato del pendio, verso nord e dietro a tutti gli impianti, c’è una casa a due piani dalle finestre con persiane di un bel verde scuro. La casa ha i muri in pietra calcarea, lavorata a faccia vista, ed ha un aspetto antico, quell’aspetto vissuto che le conferisce la colorazione calda, quasi dorata assunto dalla pietra negli anni. E’ indubbiamente una casa antica, ma ben tenuta. Sul davanti, accanto alla porta d’ingresso, c’è un pergolato coperto da maestose viti che spicca per il suo rigoglioso aspetto verde. E’ l’unica vestigia rimasta della vasta vigna che ricopriva quasi interamente i terreni circostanti prima della grande siccità.

I grappoli d’uva appena formati pendono dall’alto e arriveranno a maturazione in agosto grazie alle affettuose cure dei proprietari, che suppliranno con debite annaffiate alla scarsità cronica di pioggia. Si sentono arrivare dall’interno alcuni rumori tipici delle faccende di casa. Dal comignolo si sparge nell’aria un meraviglioso profumo di ragù, che sicuramente sta bollendo lentamente sul fuoco. Stranamente non si vede alcun segnale di fumo. Sul retro della casa, verso nord ad una certa distanza, spicca in tutto il suo splendore verde un maestoso carrubo, sicuramente vecchio quanto la casa. Accanto, posti a corona rispetto al lato nord della casa, fanno bella mostra due alberi di melograno, sul cui fogliame verde chiaro si distinguono chiaramente numerosi “bei vermigli fior” di carducciana memoria, un enorme fico e un albero di limone, di quelli detti quattro stagioni perché hanno sempre presenti i frutti maturi, i frutti verdi ed i fiori. Sempre a nord, ancora più distante dietro la casa, si nota una costruzione bassa, rivestita ad intonaco bianco, situata all’interno di un recinto alto in rete metallica. Nel recinto, una cinquantina ed anche più galline e papere becchettano il mangime sparso in terra, ruspando in mezzo alle zolle di erba ormai quasi rinsecchita. Forse, immagino, da qualche parte devono esserci anche le gabbie dei conigli, ma dalla mia posizione non riesco a scorgerle.

Volteggiando sopra la casa, scorgo anche l’impianto di collettori solari, una decina di metri quadrati, appoggiati sulle tegole di cotto rosso che rivestono la falda del tetto. La falda è rivolta a sud e, accanto ai collettori termici, ospita anche numerosi moduli fotovoltaici, che la coprono quasi completamente. Si tratta di circa 50 metri quadrati di moduli, per una potenza totale di circa 5 kW di picco.

Dall’aia antistante il portoncino d’ingresso parte una strada bianca che scende verso il fondo valle passando attraverso gli impianti fino a raggiungere un cancello incardinato a due solidi pilastri in pietra da cui si diparte la recinzione che circonda tutto il podere. Il cancello è prospiciente alla strada provinciale asfaltata che percorre il fondo valle. La linea elettrica corre lungo la strada provinciale ed un palo è piantato proprio di fronte al cancello. Lungo il palo scendono tre grossi cavi rossi intrecciati, che scompaiono alla sua base. Dal cancello, non si vede alcuna traccia di linee elettriche aeree che raggiungano la casa. Accanto al cancello, sul confine, c’è una piccola costruzione in pietra a cui giungono sotto terra i tre cavi della rete elettrica. Da questa costruzione giunge fino al cancello un leggero ronzio, che lascia intendere la presenza delle apparecchiature elettriche di trasformazione. Dalla cabina di trasformazione non si vedono uscire altre linee, perché l’energia elettrica che arriva dagli impianti è tutta convogliata su cavi in canalizzazioni interrate.

Il cancello è aperto e c’è un uomo di taglia robusta, abbronzato, dai capelli corti, neri, brizzolati. L’uomo sta scaricando dal rimorchio di un trattore alcuni oggetti cilindrici, che hanno l’aspetto di grosse bombole del gas liquido. In effetti so già che si tratta di bombole speciali fatte in materiale composito in fibra di carbonio con camicia interna di nichel. Come so pure che l’uomo si chiama Giuseppe, Mastro Peppe per gli amici. Non chiedetemi come lo so. E’ un mistero che neppure io conosco, ma bisogna pure considerare che si tratta di un sogno e nei sogni nulla è uguale alla normale logica. Ad esempio, non so assolutamente dove si trovi il posto che sto sorvolando. L’unica cosa certa che sta nel Sud. Potrebbe essere il Sud dell’Italia, ma potrebbe anche essere l’Egitto, la Tunisia, la Libia, il Marocco, ecc. Allo stesso modo, l’uomo si chiama Giuseppe, ma potrebbe chiamarsi, Yussef, o Alì, o Mustafà, o ecc.

Mentre ero assorto in queste riflessioni, non mi sono accorto del rumore che ora sento giungere chiaramente dalla strada provinciale di fondo valle. Pochi minuti ed un enorme camion con rimorchio arriva rombando, arrestandosi di fronte al cancello. Sulle fiancate verniciate di rosso vivo porta una grande scritta in giallo brillante: COOPERATIVA “SAN PAOLO DELLA CONVERSIONE”. E più in piccolo c’è l’indirizzo postale e quello del sito web. Spento il motore, l’autista scende dalla cabina con un balzo, dimostrando la sua agilità atletica nonostante che l’aspetto sia quello di un uomo non troppo giovane. Porta i capelli rasati per mascherare una incipiente calvizie e la testa è coperta da un berretto a visiera e:

- Salute, mastro Peppe, come state?
- Ringraziando Dio, io sto bene, Guido, e tu?
- Anch’io sto bene, anche se incomincio a soffrire il caldo.
- Eh caro Guido, ormai dovresti averci fatto l’abitudine. Perché mi sembra che tu abbia pressappoco la mia età. Io ho ormai 50 anni e ricordo ancora 30 anni fa quando faceva meno caldo ed è iniziato questo periodo di siccità.
- Eh sì, io ne ho tre di meno, ma ho fatto in tempo a vedere quei temporali primaverili che arrivavano puntualmente verso le due del giorno e scrosciavano giù acqua per un paio d’ore. Dopo, l’aria era fresca e pulita e profumava di terra e di erba bagnata. Il profumo durava fino al giorno dopo. Non certo come le piogge d’ora, che a stento riescono a bagnare la polvere.
- Altri tempi, caro Guido, ora bisogna adeguarsi. A proposito non hai sete? Vino non ne faccio più, ma ancora posso offrirti una bevuta di acqua fresca, che porto sempre con me nel thermos.
- Grazie. Accetto volentieri, perché è da stamani all’alba che giro con il camion per tirare via i raccolti dei vostri vicini e non mi sono fermato un momento.

Mastro Peppe prende il contenitore thermos dal trattore e offre un bicchiere d’acqua al suo amico. Avrete certo notato che Guido dà del voi a Giuseppe in segno di rispetto, mentre viene ricambiato con il tu colloquiale che si dà agli amici. Eh sì, perché come avrete capito i due si conoscono dall’infanzia essendo entrambi nati nel vicino paese di San Paolo della Conversione ed hanno frequentato la stessa scuola elementare e media. Poi, Peppe è andato all’Istituto di Agraria più vicino dove si è diplomato Perito Agrario a 19 anni ed invece Guido è andato a lavorare nel podere che suo padre possedeva nelle vicinanze di quello del padre di Giuseppe.
Mentre i due amici iniziano a scaricare dal camion le bombole vuote e successivamente a caricare le piene (quelle che Peppe ha appena scaricato dal trattore), noi approfittiamo per alzarci di quota e per dare una nuova occhiata panoramica. In effetti, lungo tutta la valle si scorgono numerosi impianti fotovoltaici simili a quelli di Mastro Peppe ed altrettante case antiche ben tenute. Sul fondo valle corre la strada provinciale, che asseconda con il suo percorso flessuoso l’andamento orografico del terreno. La strada è fiancheggiata da un fosso, che in questa stagione non contiene più nemmeno una goccia d’acqua. La sua presenza s’indovina a causa della striscia di vegetazione di canne giallastre miste a salici striminziti che ne ricopre i lati. La strada sale verso il paese di San Paolo della Conversione, che si scorge sullo sfondo, in alto vicino al valico tra le colline.

Il nome mi incuriosisce e mi costringe a fare mente locale sulla leggenda da cui esso deriva. Si narra infatti che, in tempi remotissimi, quando c’erano gli antichi Romani, sia passato da queste parti proprio Paolo di Tarso, centurione romano, inviato in missione. Percorsa a cavallo tutta la valle, Paolo giunse al valico sul far di mezzogiorno e si volse a guardare la valle. Aveva il sole di fronte ed era una giornata particolarmente assolata. Alzò gli occhi e, nonostante si facesse schermo con la mano, fu colpito dai raggi solari che lo abbagliarono. La sua brusca reazione fece scartare il cavallo e Paolo cadde in terra. Fu in quel momento magico che Paolo di Tarso, il pagano, vide la Luce Vera e si convertì al cristianesimo. Pertanto la Conversione di San Paolo, secondo la leggenda, non è avvenuta sulla via di Damasco, ma proprio lì nel punto di valico su cui poi fu fondato il paese e la chiesa che dal Santo prese il nome: San Paolo della Conversione. Nella chiesa si conserva ancora gelosamente la reliquia del Santo: una daga romana che la leggenda vuole sia appartenuta proprio a Paolo, abbandonata dal Santo dopo la sua Conversione.

Mastro Peppe a proposito di questa leggenda ha una sua singolare versione. Egli afferma che il nome era già presago dell’attività che oggi rende questa località benedetta da Dio. Infatti, 25 anni fa, leggendo un articolo divulgativo che spiegava il fotovoltaico in relazione al Decreto di incentivazione del Conto Energia, anche Peppe fu folgorato da un idea. A suggerirla era stata la locuzione “conversione fotovoltaica della luce solare”. Eccolo lì, in chiaro, il messaggio di S. Paolo: questa era la via da seguire per reagire alla mala sorte che sembrava perseguitare il paese e i suoi abitanti da quando non pioveva più. San Paolo della Conversione doveva diventare il luogo eletto per sperimentare un nuovo modo di vivere che mettesse alla base la Conversione Fotovoltaica della luce solare, come un tempo era basilare la coltivazione della vite. Forse, anzi ne era sicuro, questo era il modo per arrestare il declino e fermare la fuga degli ultimi coloni dalla valle. Pensava infatti: - E poi chissà, se avremo successo, forse anche quelli che se ne sono andati potrebbero ritornare.

Più ci pensava e più si convinceva. Iniziò subito ad informarsi sul fotovoltaico, comprò libri e riviste divulgative, si recò al capoluogo di provincia dove frequentò alcuni corsi regionali di formazione sull’argomento ed in poco tempo si sentì pronto per l’avventura. Verificato che il tetto della sua casa paterna aveva una falda di circa 100 metri quadrati esposta proprio a sud ed inclinata di 30°, si rivolse ad un installatore di impianti fotovoltaici ed, insieme a questo, formulò la domanda per accedere alle incentivazioni del Conto Energia. Non aveva dubbi. San Paolo lo avrebbe aiutato a far accettare la sua domanda e così fu. In circa un anno il suo primo impianto da 3 kWp era sul tetto ed allacciato alla rete.

A quel tempo, 25 anni fa, si erano avute le prime avvisaglie della siccità. Tuttavia, le condizioni climatiche permettevano ancora di coltivare la vite con un discreto guadagno. Assieme al padre, Demetrio, che allora era ancora in vita, Giuseppe coltivava a vigna 7 dei 10 ettari che possedeva. Tre ettari erano coltivati ad oliveto e a colture consociate di ortaggi stagionali. Certo la fatica era tanta, ma nell’insieme si riusciva ancora a sbarcare il lunario. Aveva anche un certo numero di animali da cortile, che aiutavano l'economia aziendale. Suo padre era stato previdente e in tempi di abbondanti piogge invernali e primaverili aveva escogitato un sistema di raccolta dell’acqua piovana dalla falda del tetto e dal pendio della collina, facendola confluire in una grande cisterna interrata di cemento nel punto più basso del terreno, nei pressi del cancello. Poiché, come abbiamo detto, accanto alla strada scorreva il fosso, che a quell’epoca, soprattutto d’inverno, aveva una certa portata d’acqua, Demetrio aveva costruito una piccola diga in sassi naturali in modo da poter prelevare una certa quantità d’acqua immergendo una pompa elettrica all’occorrenza. Con tale integrazione la cisterna, capace di circa 1000 metri cubi, all’inizio dell’estate risultava sempre piena. Un sapiente sistema automatico di irrigazione a goccia prelevava l’acqua dalla cisterna e forniva alle viti e agli ulivi il prezioso elemento durante la calura estiva. In questo modo Giuseppe poté resistere più degli altri al progressivo avanzare della siccità. Quando però la media delle precipitazioni annue passò dai 1500 mm ai 700 mm attuali il fosso cominciò ad essere secco a metà primavera e la cisterna non poté più essere riempita completamente. Anche il pozzo, che fino ad allora aveva fornito l’acqua potabile in portata piccola, ma costante, mostrava segni di cedimento perché la falda sotterranea andava esaurendosi.

Tutti gli altri coloni della vallata avevano sperimentato le stesse difficoltà, ma solo alcuni riuscirono a tirare avanti come Giuseppe. La maggior parte smise di coltivare, chiuse la casa ed andò a cercare fortuna nelle industrie del nord o all’estero. Alcuni tornavano in paese solo per passare il periodo di ferie, lavorando come forsennati per riparare i danni causati dall’abbandono e dall’incuria alle loro case, ma altri non si videro più.

Torniamo ora al nostro Giuseppe ed al suo Conto Energia e vediamo come tale meccanismo fosse stato determinante per sopravvivere. La decisione fu dura da prendere perché Giuseppe non voleva fare debiti con la banca e i suoi risparmi in quel momento gli consentivano poco più della possibilità dell’acquisto dell’impianto. Comunque valutato a spanne il bilancio dell’impresa, capì che sarebbe rientrato dall’investimento in una decina d’anni. A molti questo tempo poteva apparire lungo, ma non a un contadino. Infatti, tra gli “imprenditori” egli è l’unico che è abituato ad investire in tempi lunghi. 10 anni è pressappoco il tempo del rientro degli investimenti per l’impianto di un uliveto e quindi non si perse d’animo. Praticamente la produzione annuale del suo impianto fotovoltaico ammontava a 4500 kWh e tale produzione copriva quasi del tutto i consumi della casa e dell’azienda. Quindi non doveva più pagare la bolletta elettrica e per giunta il Gestore dei Servizi Elettrici gli pagava la tariffa incentivata pari a 44 centesimi di euro a kWh per i primi 20 anni. Fatti i conti in totale riusciva a mettere insieme 1980 euro l’anno di denaro fresco e a evitare il costo di elettricità per altri 765 euro. Si trattava di una rendita piccola, ma sicura, che gli consentiva di produrre il suo vino ed il suo olio ancora in modo competitivo rispetto ai produttori del Nord, che avevano risentito meno della siccità. Quindi Giuseppe poteva andare avanti con la produzione agricola ancora per alcuni anni, fintanto che le condizioni climatiche lo avevano consentito.

Presto però si rese conto che il cerchio della siccità si sarebbe stretto fino a portarlo all’impotenza ed allora i tempi e l’esperienza divennero maturi per realizzare l’Idea che da tempo covava nella sua mente: il passaggio dalla coltivazione agricola, assistita dal fotovoltaico, a quella fotovoltaica assistita da un po’ di agricoltura. Infatti, occupandosi in prima persona della gestione dell’impianto fotovoltaico domestico, Giuseppe capì che la ricchezza del suo podere in fondo era costituita dal sole, dalla grande quantità di radiazione solare che cadeva sulla valle. Realizzò anche che meno pioveva e più grande diveniva la quantità di sole che diveniva disponibile per la conversione fotovoltaica. Infatti, la quantità di kWh prodotti annualmente dal suo impianto crescevano leggermente di anno in anno, compensando così la decrescita dell’efficienza dovuta all’invecchiamento. Insomma, se non si poteva più produrre il vino e l’olio, si poteva però produrre kWh fotovoltaici a volontà!

Questa idea, accompagnata dallo spirito imprenditoriale che lo animava, lo spinse a fare il grande passo di rivolgersi alla banca. Chiese ed ottenne un finanziamento agevolato (di quelli garantiti dalla Regione) presentando il progetto per installare su circa un ettaro del suo terreno il primo MW fotovoltaico. Il salto era fatto. Giuseppe divenne proprietario di un “officina elettrica” e come tale entrò a far parte del mondo dei piccoli produttori di elettricità. In un anno fu realizzato l’impianto ed, allacciato alla rete, cominciò ad immettere i suoi kWh. Il primo anno di produzione fece registrare un totale netto di un milione e trecentomila kWh, contro i previsti un milione e settecentomila, ciò avvenne a causa di alcune fermate dell’impianto per la messa a punto delle apparecchiature. Il secondo anno andò un po’ meglio e dal terzo anno si cominciò ad ottenere la resa piena di progetto. Essendo trascorsi una decina di anni dall’installazione dell’impianto domestico, i costi del fotovoltaico erano calati molto e così pure si erano abbassate le incentivazioni. Adesso la tariffa riconosciuta era di 22 centesimi di euro a kWh e, come produttore elettrico, poteva fornire i suoi kWh alla rete dietro compenso di circa 13 centesimi ciascuno. In definitiva la sua energia gli procurava un ricavo di circa 600000 euro all’anno, che detratte le spese di esercizio e gli ammortamenti del capitale da restituire alla banca gli consentiva di ricevere un piccolo stipendio, visto che era lui stesso ad occuparsi dell’esercizio.

Dopo qualche anno di sperimentazione, considerata la relativa sicurezza del reddito prodotto, Giuseppe installò un secondo MW e poi un terzo, un quarto ed un quinto. Praticamente coprì di pannelli fotovoltaici tutte le terrazze dove prima coltivava le viti, realizzando un totale di 5 MW fotovoltaici. Nella collocazione dei pannelli era particolarmente favorito per il fatto di poter sfruttare le terrazze disposte a gradini sul pendio naturale. In tal modo le file dei pannelli avevano scarsa possibilità di ombreggiarsi reciprocamente e quindi gli impianti potevano essere concentrati in uno spazio minore del solito. Lasciò intatto l’uliveto, posto più in alto, che continuava a coltivare utilizzando la poca acqua che riusciva ad immagazzinare con le piogge, il fosso ed il pozzo. Naturalmente il ricavo annuale dell’impresa elettrica si moltiplicò per 5 arrivando a circa 3 milioni di euro e questo consentì a Giuseppe di aumentare il suo stipendio ed anche di assumere i primi 2 collaboratori con la qualifica di elettricisti. In realtà i patti erano chiari, oltre a espletare tale incarico, essi dovevano essere disposti alla massima flessibilità di mansione, come d’altra parte faceva lui stesso, dando l’esempio. Si doveva fare tutto ciò che c’era da fare, ad esempio anche le attività di giardinaggio per mantenere pulite ed ordinate le siepi di bordatura delle strade e degli impianti. Era stato fortunato perché aveva trovato due bravi giovani del posto dei quali conosceva bene le famiglie. Sia perché questi ragazzi tornando tutte le sere in paese raccontavano le meraviglie del fotovoltaico ai loro familiari e amici (i pochi rimasti), sia perché tutti stimavano Giuseppe per il suo spessore umano e lo consideravano molto saggio dal momento che si sacrificava per mandare i due figli alle scuole superiori del capoluogo, sta di fatto che la fama dell’officina elettrica si diffuse nel paese ed in tutta la vallata. Altri coloni che, testardi come Giuseppe, non avevano ancora mollato, si recarono più volte in visita agli impianti. Per tutti Mastro Peppe era prodigo di consigli e suggerimenti, mostrando loro la via da seguire per aprire nuove “officine elettriche fotovoltaiche”.

Insomma, negli anni seguenti la valle si trasformò coprendosi di impianti a macchie, intervallati ancora da ampi spazi incolti, quelli delle vecchie fattorie ormai abbandonate. Ormai il numero degli impianti tipici per fattoria da 5-6 MW aveva raggiunto e superato il centinaio. Il reddito prodotto e i posti di lavoro creati fecero sì che si ricominciasse a vedere circolare un po’ di gente in paese e soprattutto ricomparve la speranza sul volto delle persone.

Poi avvenne la seconda evoluzione, quella che ha portato al recupero fotovoltaico di quasi tutti i terreni un tempo coltivati, giungendo alla attuale situazione di grande dinamismo. In fondo è per vedere questo cambiamento che sono venuto qui, avendone sentito tanto parlare. Avevo letto gli articoli pubblicati a più riprese sui giornali a proposito della costituzione della Cooperativa San Paolo e delle meraviglie della “Photovoltaic Valley”, come ormai la chiamavano i mezzi d’informazione. Ma lasciamo che sia Mastro Peppe stesso a raccontarci la storia. Infatti, il mio ripasso mentale degli avvenimenti precedenti, mentre guardavo Guido e Giuseppe caricare le bombole piene sul camion e quelle vuote sul trattore, è stato interrotto da uno scampanio nitido proveniente dalla casa. Uno sguardo in alto permette di scorgere una figura femminile, alta e robusta, dai capelli neri, raccolti a ciuffo dietro la nuca, indossante un ampio grembiule bianco, mentre tira vigorosamente la fune di una campanella posta sulla facciata della casa. E’ così che facciamo il nostro primo incontro con la Sora Giulia, moglie di Mastro Peppe. Si tratta del segnale solito per chiamare gli uomini al pranzo ed infatti alcune figure maschili in bicicletta compaiono subito sulle strade che provengono dagli impianti, confluendo verso la casa.

A questo punto Mastro Peppe si rivolge a Guido:

- Senti, visto che sei capitato qui per l’ora di pranzo, che ne diresti di mangiare un boccone con noi?
- Lo sapete Mastro Peppe che accetto sempre volentieri! Perché, oltre a gradire moltissimo la cucina della Sora Giulia, mi piace sempre parlare con voi ed ascoltare come avete fatto a realizzare tutto questo che vediamo. Poi, questa volta ho anche da chiedervi consiglio su un idea che mi frulla per la testa……
- Va bene Guido, parcheggia il camion dentro al cancello e sali con me sul trattore.
E così i due amici si avviano verso la casa continuando a conversare. Arrivano sull’aia e parcheggiano il trattore quasi contemporaneamente all’arrivo di sei uomini, cinque ragazzi ed uno più anziano, alcuni pedalando sopra alle loro biciclette ed altri spingendole a mano a causa della rampa da fare in salita per raggiungere la casa. E’ circa l’una (ora legale) e fa un grande caldo. Il sole picchia dall’apice della sua parabola nel cielo terso di un azzurro brillante. “Svelti, ragazzi, andate a darvi una lavata, che il pranzo è in tavola”. Così li accoglie la Sora Giulia, mentre aspetta che il marito ed il suo ospite si avvicinino.
– Giulia, ho invitato a pranzo Guido. Spero che lo tratterai bene.
– Caro Peppe, sai bene che io tratto tutti bene allo stesso modo e dove si mangia in nove si può mangiare anche in dieci. Benvenuto, Guido!
– Dio vi benedica Sora Giulia, come state?
– Ringraziando il Signore, io sto bene e tu?
– Sì sto bene, anche se, come dicevo a vostro marito, questo caldo, comincio a sopportarlo a fatica. Sento un odorino stuzzicante, Sora Giulia, che cosa avete preparato di buono?
– Oggi c’è per primo pasta al ragù e per secondo frittatine al sugo a mò di trippa e insalata. Però, ora basta con le chiacchiere, anche voi due datevi una rinfrescata e venite a tavola.

Subito rientra in casa e ne riesce poco dopo accompagnata da una donna che l’aiuta a portare una grande pentola piena di pasta fumante, appena scolata e condita con il famigerato ragù il cui odore era sparso nell’aria. Si tratta di una ragazza giovane, robusta e di aspetto gradevole, che è alle sue dipendenze come collaboratrice domestica. La tavola si trova all’aperto, sotto l’ombra fresca del pergolato ed è già apparecchiata per dieci persone, come se il decimo commensale fosse già atteso. In effetti, la Sora Giulia non era dotata di doti di preveggenza, ma più semplicemente aveva indovinato le intenzioni del marito quando lo aveva visto parlare con Guido al cancello. Così, aveva dato disposizione di aggiungere un posto a tavola in modo da arrivare a dieci posti. Ella amava le grandi tavolate e per questo motivo aveva accolto particolarmente bene l’arrivo di Guido. Inoltre, la sua presenza le permetteva di farsi raccontare le ultime notizie sulla situazione degli altri soci della Cooperativa. Mastro Peppe spesso sorrideva di questa piccola mania della moglie, perché lui si dichiarava apertamente non curioso. Tuttavia, non mancava mai di ascoltare attentamente la conversazione che a fine pranzo la moglie avrebbe intavolato con l’ospite.

Gli uomini erano tutti già seduti e a un capotavola stava Giuseppe, mentre all’altro si sedeva abitualmente Giulia, dopo aver distribuito le porzioni per tutti. Guido si sedette accanto al suo ospite in modo da poter approfittare della conversazione. Giuseppe presentò il suo amico ai suoi collaboratori, anche se tutti ormai lo conoscevano. Sulla tavola c’erano numerose bottiglie di acqua fresca, ma non c’era alcuna bevanda alcolica. Niente alcool fino a che si doveva lavorare, questa era la regola imposta da Giuseppe. Gli uomini dovevano essere lucidi e produttivi al massimo durante il lavoro. La regola poteva essere infranta solo in rare occasioni, come ad esempio quando entrava in produzione un nuovo impianto o quando uno di quelli esistenti registrava un record annuale di produzione. Allora si vedevano comparire alcune bottiglie di pro secco con cui si brindava alla fine del pasto. Ma oggi era un giorno di routine e non c’era vino.

Durante la prima portata la conversazione fu quasi assente, fatta eccezione per una domanda di Guido:

- Mastro Peppe, sono tutti qui i vostri collaboratori?
- Si sono tutti questi che vedi. Sono sei in tutto per sorvegliare i dieci impianti fotovoltaici della fattoria. Quattro sono elettricisti, uno è perito elettrotecnico e l’altro è perito chimico fisico.
- Li conosco già tutti, eccetto l’ultimo che avete citato. Perché avete assunto un chimico?
- Scusa Guido, credevo di avertelo presentato. Questo è Michele.
E con un gesto indica la persona attempata che gli siede a fianco sul lato opposto della tavola di fronte a Guido. Questi si alza per scambiare una stretta di mano con Michele e poi torna a sedere iniziando a mangiare.
Giuseppe riprende a parlare tra un boccone e l’altro:
- Quando abbiamo cominciato a produrre idrogeno per via elettrolitica, ho avuto bisogno di un esperto di queste nuove tecnologie ed ho cercato un chimico fisico che s’intendesse già di queste cose. Così sono andato al Nord a visitare una fabbrica di produzione di elettrolizzatori ed ho concordato con loro, sia l’acquisto delle apparecchiature, sia l’indicazione di un bravo tecnico disposto a trasferirsi al Sud ed ecco Michele.
- Ma, Mastro Peppe, già una volta mi avete accennato a questa storia dell’idrogeno, vi dispiacerebbe ripeterla? Perché è su questo che poi vi chiederò un consiglio.
- Tu sai, Guido, che in questi 25 anni la tecnologia fotovoltaica ha fatto passi da gigante. Pensa che il mio primo impianto, quello che sta sul tetto di casa, produceva circa 160 kWh per m2 all’anno e costava circa 6000 euro a kW. Gli impianti più recenti che ho installato negli ultimi anni, quelli che sono dedicati alla produzione dell’idrogeno, producono circa 300 kWh per m2 all’anno e mi sono costati 1200 euro a kW. Data la grande insolazione che in questa zona raggiunge le 1850 ore all’anno e considerato che il fattore di disponibilità degli impianti ha raggiunto il 96%, l’energia netta che va ad alimentare gli elettrolizzatori è pari a circa 1776 kWh per ciascun kW d’impianto. Pertanto il kWh mi viene a costare circa 5 centesimi di euro tutto compreso. Se lo potessi vendere alla rete elettrica, me lo pagherebbe 13 centesimi e realizzerei un bel guadagno.
- E allora, Mastro Peppe, perché non lo fate?
- Purtroppo da qualche anno non si può più avere la sicurezza dell’acquisto da parte dell’Acquirente Unico perché è stata tolta la priorità nel dispacciamento. In poche parole l’energia prodotta viene messa in fila d’attesa e solo se nel momento di produzione c’è richiesta sulla rete, la tua energia viene acquistata.
- Ma per quale motivo avviene questo? Mi pare che fino a qualche tempo fa tutta l’energia prodotta veniva venduta.
- E’ vero: ora non c’è più la garanzia della vendita. Infatti, da quando la potenza totale cumulata del fotovoltaico e dell’eolico ha raggiunto il limite di sicurezza della rete, l’energia offerta in aggiunta viene selezionata con la logica del ribasso. Ti può andare bene, che riesci a vendere il tuo kWh a 13 centesimi, ma ti può anche accadere di venderlo sotto al costo di produzione, o addirittura di gettarlo via. In questo modo, era diventato impossibile andare avanti e noi produttori eravamo molto preoccupati. Ma poi le cose hanno preso una nuova via, quella dell’idrogeno. Siamo ora entrati in un nuovo modo di produrre. La prima evoluzione è avvenuta con il passaggio da agricoltori a produttori di energia elettrica. La seconda evoluzione, quella che stiamo vivendo, ci vede passare da produttori di energia elettrica a produttori di energia chimica pregiata, appunto l’idrogeno. Vedi, Guido, in fondo siamo rimasti sempre agricoltori: solo che ora sfruttiamo i nostri campi, non per coltivare la vite e l’olivo, ma per coltivare energia sotto forma di elettricità e idrogeno.
- E’ una cosa che mi affascina, Mastro Peppe, ma come avete fatto a superare le difficoltà per realizzare questa nuova idea?
- Sai, Guido, l’idea non è nuova. Se ne parlava da molto tempo. Solo che le condizioni di costo del fotovoltaico e quelle di vendita sul mercato dell’idrogeno non erano ancora favorevoli. Ora lo sono diventate e la cosa si è fatta possibile. Anzi, ti dirò che sta andando molto bene.
Durante tutta questa chiacchierata si era finito di mangiare e gli uomini dopo aver salutato erano tornati alle loro attività, non senza aver gustato una tazza del famoso caffè della Sora Giulia.

Questa, dopo aver dato le disposizioni alla governante per sparecchiare il tavolo, si sedette vicino a suo marito, mettendosi a sentire quello che lui andava dicendo a Guido. Aveva ascoltato tante volte questo discorso, ma lo trovava sempre affascinante come un racconto d’avventura, quella che lei stava ancora vivendo accanto al suo uomo.

Avrete capito che Giulia ama ancora profondamente suo marito dopo 25 anni di matrimonio. I due figli, Carlo e Lucia, che erano nati nell’ordine dopo un anno e dopo tre anni dal matrimonio, avevano rinsaldato fortemente questo legame. Il suo matrimonio era stato molto contrastato, perché non stava bene che Giulia, la figlia del farmacista di San Paolo, sposasse un agricoltore, anche se piccolo proprietario. Era figlia unica e suo padre avrebbe voluto che continuasse la sua professione. Per tale motivo l’aveva mandata a studiare farmacia all’Università con il desiderio di vederla in futuro accasata con un professionista, magari con il medico condotto che era da poco arrivato in paese. Giulia e Giuseppe si conoscevano fin dall’infanzia e lui, che aveva due anni di più, aveva visto la bimba sbocciare in una splendida adolescente e poi in una adorabile ragazza, sempre cordiale e allegra, ma molto seria. Aveva i capelli neri e gli occhi verdi e Giuseppe amava dire che somigliava a una strega e che con quegli occhi lo aveva stregato. Lei invece era rimasta colpita oltre che dall’aspetto piacevole di quel ragazzo moro soprattutto dalla serena calma con cui parlava e con cui agiva. E poi quegli occhi neri, che finivano sempre per fissarsi nei suoi scrutandola fino in fondo, la mettevano ogni volta in subbuglio.

In fondo Giuseppe non dispiaceva neppure al padre di Giulia, per quelle doti di serietà e di infaticabilità dimostrata nel lavoro. Però non era il partito che aveva sperato per sua figlia. Ma una donna innamorata è capace di superare qualsiasi difficoltà, per cui, a 23 anni, appena presa la laurea in farmacia (facendo così contento il padre), Giulia gli comunicò che entro la primavera successiva avrebbe sposato Giuseppe. E così andò alla fine con il benestare di tutti.
Al ritorno del viaggio di nozze, Giulia appese la laurea al chiodo e si dedicò completamente alla famiglia e ai figli. Non mancò comunque di aiutare validamente il marito soprattutto nel tenere in ordine la contabilità e le pratiche, mano a mano che l’impresa fotovoltaica andava crescendo. Tuttavia, dopo tanti anni, per lei era ancora un mistero e un miracolo come la luce solare si potesse trasformare in quella forza elettrica che gli permetteva non solo di illuminare la casa, ma perfino di cucinare il pranzo. (Ecco il motivo per cui non si vedeva uscire dal comignolo alcun filo di fumo!)

I figli erano ormai cresciuti. Entrambi si trovavano fuori casa per gli studi: Carlo era ormai laureando in ingegneria elettrotecnica e Lucia era al terzo anno di economia. Appena possibile sarebbero stati inseriti nel disegno paterno di ampliare ulteriormente l’impresa.

A questo punto era Guido a parlare:

- Mastro Peppe, ditemi, è con la vendita dell’idrogeno in bombole che avete avuto la ripresa economica?
- Proprio così. Ti ricordi avevamo lasciato i nostri kWh (al costo ciascuno di 5 centesimi) mentre si affacciano ad alimentare l’apparecchio di elettrolisi dell’acqua. Qui se ne perde il 20% perché l’efficienza di trasformazione in idrogeno è pari all’80%. Ancora un 10% si perde nel purificatore e nel compressore, per cui nella bombola ci riusciamo a mettere 7 kWh sotto forma di idrogeno su dieci prodotti. Se contabilizziamo le perdite i kWh nell’idrogeno ci vengono a costare 10 settimi in più, cioè circa 7 centesimi di euro. A questi bisogna aggiungere il costo di ammortamento degli impianti, (elettrolisi, purificazione, compressione e bombole), che porta il tutto intorno ai 12 centesimi di euro per kWh di idrogeno immagazzinato. Devi sapere che l’idrogeno prodotto per via elettrolitica, come lo facciamo noi, è di alta qualità perché è molto puro. Pertanto sul mercato italiano si riesce a venderlo senza difficoltà a circa 32 centesimi di euro al kWh. Si realizza in tal modo un utile lordo di circa 20 centesimi per ciascun kWh, il che non è poco. A questo punto non rimane altro che produrre tanti kWh di idrogeno, metterli nelle bombole e venderli per fare cassa.
- E quanti ne producete voi ?
- Dei dieci impianti fotovoltaici da 1 MW, sette sono collegati in rete e godono delle incentivazioni governative. Gli ultimi tre che ho realizzato non hanno più niente a che vedere con la rete e sono dedicati interamente alla produzione di idrogeno. Ogni MW fotovoltaico produce un milione e settecentomila kWh all’anno, per cui abbiamo una produzione di idrogeno di un milione e duecentomila kWh d’idrogeno, per un totale sui tre MW di tre milioni e seicentomila kWh. Come tu sai bene, le bombole che trasporti sono tutte da 100 litri e contengono idrogeno alla pressione di 400 atmosfere. Pertanto ciascuna bombola racchiude circa 120 kWh di idrogeno puro per un valore di 36 euro. Si tratta ogni anno di portare alla vendita circa 30000 bombole da cui si ricava un milione e ottantamila euro. Il quaranta per cento di questo ricavo è per ripagare le spese di produzione e il sessanta per cento, circa seicento cinquantamila euro, sono l’utile lordo. Da quest’ultimo bisogna detrarre le spese di trasporto delle bombole e le tasse, ma rimane pur sempre un discreto margine di guadagno che sta rendendo molto interessante l’impresa.
- Eh sì, Mastro Peppe, mi sono accorto dell’entusiasmo. Ho visto aumentare il dinamismo in tutte le fattorie della Cooperativa che stanno convertendosi all’attività sull’idrogeno. Ma, a proposito, perché è nata la Cooperativa?
- E’ proprio per ridurre le spese di trasporto delle bombole ed altre spese analoghe che abbiamo fondato la Cooperativa, presso cui tu lavori. Ad esempio, per gli acquisti. Capirai che un conto è che ciascuno ordini 100 bombole ed un altro è ordinarne 10000 e così per tutte le altre parti degli impianti. I prezzi che si riescono a spuntare sono molto migliori. E poi c’è la faccenda dell’acqua, del suo acquisto e del suo trasporto.
- Ah sì, Mastro Peppe, questa è proprio un’altra domanda che volevo farvi: so che per fare l’idrogeno serve l’acqua e qui ne abbiamo poca, quanta ce ne vuole? Non è che la mancanza d’acqua può fermare l’attività?
- E’ vero. L’idrogeno si fa dall’acqua. Ogni litro ne contiene 111 grammi, che equivalgono ad un’energia di circa 3.7 kWh. Ciò significa che per ogni kWh d’idrogeno sono necessari 273 grammi di acqua. Tu sai che io produco con la mia energia fotovoltaica circa 3 600 000 kWh d’idrogeno all’anno, il che vuol dire che per produrli devo consumare 983000 kg d’acqua, cioè circa 1000 metri cubi. Si tratta all’incirca del contenuto totale della mia vecchia cisterna. Può sembrare una grande quantità, ma tieni presente che nella nostra zona cadono ancora 700 mm di pioggia su ciascun metro quadro. Se tu li raccogliessi, otterresti circa 700 litri d’acqua da ogni metro quadrato di superficie. Quindi sul mio terreno di 10 ettari cadono 700 x 100000 = 70 milioni di litri, cioè 70000 metri cubi di acqua. Mi basterebbe raccoglierne 1/70 per ottenere tutta quella che serve per l’idrogeno. Come vedi, anche se la maggior parte della pioggia viene assorbita dal terreno e si perde per evaporazione, ne rimane sempre abbastanza per la produzione. Si tratta soltanto di far funzionare bene il sistema di raccolta. Pensa che le sole falde del tetto, che hanno un’area di 200 m2, possono raccogliere 140 metri cubi d’acqua all’anno e furono attrezzate per farlo già da mio padre.

Poi i pannelli fotovoltaici stessi costituiscono delle enormi superfici di raccolta dell’acqua piovana. Infatti, ogni impianto misura circa 10000 m2 e può raccogliere circa 7000 metri cubi d’acqua all'anno. Gli impianti sono dieci e tutti sono attrezzati con un sistema di raccolta dell’acqua piovana, che la fa confluire nelle cisterne. Finora le ho sempre riempite tutte. Però la mia vecchia cisterna contiene soltanto 1000 metri cubi, per cui se ci faccio l’idrogeno, poi come viviamo? Allora, quando ho cominciato la produzione dell’idrogeno, ho anche investito un po’ di soldi nell’acquisto di altre cisterne, che adesso si trovano a buon mercato, già prefabbricate in vetro resina, da interrare e le ho messe sotto terra accanto a quella di cemento giù in fondo, vicino al cancello. Ho così aggiunto altri 1000 metri cubi, che sono più che sufficienti per gli usi domestici. Come ho detto, finora sono sempre riuscito a riempire le cisterne con la pioggia, il fosso e il pozzo, se però la siccità dovesse aumentare, potrei cominciare ad avere qualche difficoltà. Purtroppo, in questa situazione si trovano anche alcuni soci della cooperativa che non hanno potuto attrezzarsi con grandi cisterne e allora occorre integrare il consumo dell’acqua con il suo acquisto ed il trasporto dal Nord. Questo è un altro motivo di sussistenza della Cooperativa, che ha acquistato due autocisterne proprio per il trasporto dell’acqua. Il margine di guadagno della produzione di idrogeno, consente anche di sopportare la spesa dell’acqua.

- Ho capito. Quindi, anche se uno non ha un sistema di raccolta dell’acqua piovana come il vostro, può ugualmente produrre idrogeno comprando l’acqua? Il guadagno però si riduce e di quanto?
- Il conto è facile. L’acqua ti viene a costare, trasporto compreso, da 1 a 2 centesimi di euro al litro, a seconda da dove la fai venire. Con 1 litro d’acqua ricavi 3.7 kWh d’idrogeno, per cui il costo dovuto all’acqua diviene pari a circa 0.27-0.54 centesimi di euro per kWh. Quindi il tuo margine lordo si abbassa di ½ centesimo di euro rispetto ai 20 centesimi nel caso peggiore.
- Scusate, Mastro Peppe, un ultima domanda. Che fine fa l’idrogeno che vado a consegnare allo stabilimento chimico del capoluogo?
- Devi sapere che già oggi esiste un vastissimo mercato mondiale dell’idrogeno. Se ne commerciano in totale circa 500 miliardi di metri cubi al prezzo medio di circa 0.75 euro a metro cubo, per un volume totale di affari di 375 miliardi di euro. Per la maggior parte questo idrogeno proviene dalle raffinerie petrolchimiche come prodotto del reforming del metano, ma una parte, circa il 4%, viene prodotto dall’elettrolisi dell’acqua ed è quello molto puro, che si vende bene al prezzo di 1 euro al metro cubo, cioè 33 centesimi a kWh. Questo è il mercato che c’interessa, perché il nostro idrogeno è molto puro. Esiste quindi un grande mercato già perfettamente attrezzato e funzionante, dove l’idrogeno viene scambiato sotto forma di gas in pressione contenuto in appositi serbatoi e contenitori adatti per lo stoccaggio e per il trasporto in tutto ilmondo.
- Ma che ci si fa con tutto questo idrogeno?
- Seguiamo il percorso del nostro idrogeno e lo capirai. In parte esso viene travasato in grandi contenitori a pressione, trasportati per treno, ed avviato al consumo delle fonderie per la riduzione degli ossidi metallici e alle industrie alimentari per l’idrogenazione dei grassi. In parte viene lavorato nello stabilimento stesso a cui lo consegniamo, dove ci si fa la sintesi dell’ammoniaca. Questa, a sua volta, viene spedita alle fabbriche per la produzione dei fertilizzanti chimici per l’agricoltura. Avviene così che il nostro sole del sud viene esportato nei paesi del nord, non colpiti dalla siccità, dove ancora è possibile fare agricoltura. Qui, il nostro sole, immagazzinato nei fertilizzanti, va a fecondare i campi e ci ritorna sotto forma di produzione agricola degli alimenti che noi consumiamo. E’ un grande giro, un ciclo di cui noi stessi siamo entrati a fare una parte attiva……. Ma, Guido, hai detto che mi volevi chiedere un consiglio. Di che si tratta?.

A questo punto, la Sora Giulia, che era rimasta sempre in silenzio, interviene:

- Aspettate un momento. Voglio sentire anch’io. Che ne dite, vado a fare un’altra tazza di caffè? Nel frattempo parlate d’altro e poi riprendiamo.

Giuseppe allora inizia a parlare dei figli e dei progetti che ha per loro d’inserimento in azienda non appena si siano laureati. La laurea di Carlo è imminente, mentre per quella di Lucia ci vorranno ancora un paio d’anni. Ci sono ancora molti campi lasciati incolti nella vallata e, non essendoci più la necessità di allacciamento alla rete per realizzare gli impianti, la Cooperativa ha in progetto di affittare questi campi dai proprietari e di iniziare a coltivarli ad idrogeno fotovoltaico. Poi ci sarebbe da “coltivare” i terreni sassosi, quelli che si trovano sui crinali della valle, sui quali un tempo cresceva soltanto un po’ d’erba ed erano sfruttati saltuariamente per il pascolo, ma che ora, già da aprile appaiono completamente brulli. Insomma se si vuole, c’è un gran bel po’ da fare!

Tornata la Sora Giulia e sorbite le tazze di caffè, Guido inizia a parlare:

- Sentite, Mastro Peppe, avete presente il mio podere, quello che quasi confina con il vostro? Come sapete, sono quattro ettari e non lo coltivo più dalla morte dei miei genitori. C’è pure la casa dei miei che io non ho potuto più curare e che sta andando in rovina. Vi volevo chiedere: che ne pensate, è possibile metterci qualche impianto fotovoltaico? Avrei l’intenzione di mettermi nell’impresa e poi partecipare alla Cooperativa, ma non so assolutamente come fare. Da dove si comincia?
- Caro Guido, finalmente ti sei deciso. E’ da tempo che avrei voluto parlartene e suggerirtelo io stesso, ma esitavo per non urtare la tua sensibilità. Ho aspettato che tu maturassi la decisione. Per prima cosa ti devi rendere conto che su quel tuo terreno incolto esiste un tesoro, perché è esposto bene al sole e quindi la materia prima non manca. Terreno, sole e volontà. Questo è tutto ciò che serve, perché i soldi per realizzare il progetto si possono sempre trovare. Ti spiegherò io stesso come fare. Vero Giulia?
- Certo. Guido, potrai approfittare della grande esperienza che ha Giuseppe. Ha aiutato tanti altri e vuoi che non aiuti te? E poi anche io sono interessata, perché questa è la volta buona che ti faccio sposare una brava ragazza, così finalmente quando verrai ad abitare qui vicino, avrò finalmente una compagnia femminile con cui parlare.
- Vi ringrazio, Sora Giulia, ma per sposare c’è ancora tempo. Adesso devo capire dove s’inizia.

A questo punto Giuseppe spiega a Guido che bisogna iniziare da un progetto esecutivo. Occorre una piccola somma iniziale per commissionare ad uno studio d’ingegneria fotovoltaica il progetto degli impianti e poi con questo progetto si può andare in banca a chiedere il finanziamento agevolato che è previsto per le fonti rinnovabili. Si chiedono pure tutti i permessi comunali, cosa che ormai è facilitata visto il grande sviluppo fotovoltaico a cui il Comune ha assistito. Avuto il finanziamento in un anno si realizza il progetto e l’anno successivo si entra in produzione.

A questo punto Guido guarda l’orologio:

- Dio mio, si sono fatte le tre! Devo andare via subito, perché devo ancora raccogliere altre bombole e poi portarle tutte allo stabilimento prima della chiusura. Dovrei ancora farcela, ma devo scappare subito. Mastro Peppe, scusatemi, ma dovrò tornare ad importunarvi per definire meglio tutta la cosa. Vi va bene se vengo domenica?
- Va benissimo, vieni a pranzo qui, così avremo tutto il tempo per accordarci. Ti vorrei anche accennare al fatto che si sta profilando all’orizzonte una terza evoluzione, molto, ma molto interessante. Altro per il momento non ti dico. A presto!
- Arrivederci, Sora Giulia, e grazie dell’ospitalità.
Preso ed inforcato il berretto con visiera che gli serviva per guidare il camion, si avviò rapidamente per la strada in discesa che arrivava al cancello e salito sull’automezzo se ne andò rombando lungo la strada provinciale.

Anche io cominciavo a sentire la calura e la stanchezza (anche se mi ero sistemato all’ombra della pergola per ascoltare i discorsi). Avevo saputo parecchio circa le attività fotovoltaiche di Giuseppe, ma non tutto. Infatti, la sua uscita circa la terza fase evolutiva mi aveva completamente colto di sorpresa e, mentre me ne tornavo a casa a volo radente, ero rammaricato di non poter conoscere di che cosa si trattava. Forse però avrei potuto tornare a sognare di essere presente al pranzo di domenica prossima e così conoscere anche questo aspetto della situazione. Chissà, con i sogni non si può mai sapere.

NB

Pur essendo la vicenda puramente immaginaria, tuttavia le cifre indicate nel testo si riferiscono alla situazione reale per il presente dell’idrogeno e del fotovoltaico nel sud Italia, ad esempio in Sicilia, e ad una situazione molto probabile per il futuro tra dieci e venticinque anni.