La fusione nucleare controllata: sogno o (quasi) realtà

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Stato e prospettive della ricerca sulla fusione nucleare controllata per la produzione di energia.


Una vecchia e un po' ritrita battuta dice che da cinquant'anni lo sfruttamento della fusione nucleare controllata come fonte di energia si colloca cinquant'anni nel futuro. E' vero che agli inizi della ricerca su questo tema, negli anni '50, ci furono incauti entusiasmi, a dire il vero giustificati da considerazioni teoriche che erano incomplete, e che anche dopo si ebbero previsioni relative ai tempi necessari per realizzare il reattore a fusione che si sono poi rivelate troppo ottimistiche. Tuttavia, per vari decenni la ricerca volta ad ottenere un piccolo sole in laboratorio, e a sfruttarlo come fonte energetica, ha registrato costanti e rapidi progressi.


La figura qui a fianco mostra l'andamento, dagli anni '50 a oggi, di un parametro, il triplo prodotto tra densità, temperatura e tempo di confinamento dell'energia, che rappresenta una quantificazione
delle prestazioni degli esperimenti di fusione nucleare. Ci riferiamo qui alla fusione "a confinamento magnetico", in cui un gas ionizzato ad alta temperatura, detto anche "plasma", viene tenuto confinato in una regione dello spazio per mezzo di campi magnetici, in macchine di cui il tipo più comune è chiamato "tokamak". La figura è tratta dal libro "Tokamaks" di John Wesson. Si vede che fino agli anni '90 si sono avuti progressi costanti, che hanno dato una crescita esponenziale di questo parametro. E' stato stimato che questa crescita è avvenuta a un ritmo analogo all'aumento della potenza di calcolo dei microprocessori che fanno funzionare i personal computer, ovvero di uno sviluppo che ha modificato profondamente la nostra vita quotidiana.

Estrapolando i dati della figura precedenti al 1990, si sarebbe dovuti arrivare a parametri sufficienti al reattore (indicati dalla zona più scura nella parte superiore del grafico) già intorno al 2000. Cosa è successo invece? Dal punto di vista della comprensione, i progressi hanno continuato ad essere costanti. Solo che, dopo la generazione di grandi tokamak entrati in funzione nella prima metà degli anni '80 (JET in Unione Europea, TFTR negli USA e JT-60 in Giappone), avrebbe dovuto esserci una nuova generazione di macchine, con prestazioni superiori (ad esempio, in Europa si prevedeva di realizzare il NET, "Next European Torus"). Questo però non si è verificato, da un lato a causa dei bassi prezzi dell'energia che hanno contraddistinto gli anni '80 e '90, dall'altro a causa del fatto oggettivo che gli aumenti di prestazioni corrispondono anche a macchine sempre più grandi e costose. Dopo molti temporeggiamenti, ci si è infine orientati per un'unica macchina di nuova generazione, frutto di una collaborazione internazionale (inizialmente tra UE, USA, Giappone e Russia, oggi ci sono anche Cina, Corea del Sud e da qualche giorno l'India), chiamata ITER.

La progettazione di ITER iniziò nel 1990 e si concluse nel 1998. A quel punto, il livello decisionale politico decise che il costo era troppo elevato. In particolare, gli USA abbandonarono il progetto. A questa impasse è seguita una revisione del progetto, che ha portato ad un abbassamento dei costi, a scapito delle prestazioni dell'esperimento. Mentre il vecchio ITER avrebbe dovuto raggiungere l'ignizione, ovvero una condizione in cui, dopo una fase iniziale di riscaldamento, il plasma si autosostiene senza contributi energetici esterni, si optò per un progetto di costo dimezzato in grado di raggiungere un Q compreso tra 5 e 10. Il parametro Q è il rapporto tra energia prodotta dalle reazioni di fusione ed energia immessa nel plasma per riscaldarlo. La condizione di ignizione, che avrebbe dovuto essere raggiunta dal vecchio ITER, corrisponde a Q = infinito. E' importante osservare che in un reattore (cosa che non è ITER, che resta comunque un dispositivo sperimentale, non pensato per la produzione di energia) l'energia prodotta per fusione viene depositata dai neutroni uscenti dal plasma in una struttura detta "mantello", e quindi recuperata sotto forma di calore. Questo calore va poi convertito in elettricità, mediante una normale turbina a vapore, con un rendimento che potrà aggirarsi sul 40%. Tenendo conto di questa efficienza, e dell'ulteriore efficienza dell'uso di parte di questa energia elettrica per riscaldare il plasma, la condizione che sarà raggiunta da ITER risulta insufficiente per una effettiva produzione netta di energia elettrica da destinarsi al consumo (cosa che, ripetiamo, non è lo scopo dell'esperimento).

Va ribadito che quella relativa alle prestazioni di ITER è stata una scelta politica, non scientifica. Pur non sottovalutando la strada che ci separa dalla realizzazione del reattore, una macchina con Q = infinito è, a meno di sorprese nella fisica sottostante, un traguardo perfettamente raggiungibile allo stato attuale della conoscenza. Alla revisione del progetto è seguita un'ulteriore fase decisionale, inclusi estenuanti negoziati internazionali per decidere il sito in cui l'esperimento sarà realizzato e per stabilire come suddividere le spese (e le commesse alle rispettive industrie), e oggi si sta infine iniziando la fase realizzativa.

Il problema sta adesso nei tempi. La costruzione di ITER durerà 8 anni, a cui seguiranno una decina d'anni di utilizzo. A quel punto si inizierà a costruire DEMO, il primo vero reattore, connesso alla rete elettrica. Complessivamente, si prevede di avere l'elettricità da fusione commercialmente disponibile fra 40 anni. Dove sta il problema che impedisce tempi più rapidi? Principalmente nel gigantismo, reso obbligatorio dalle condizioni dettate dalla fisica sottostante, e dalla complessità di questi dispositivi. Una figura di come sarà ITER si può trovare qui - si noti l'omino vestito di blu in basso per avere un senso delle dimensioni del dispositivo.
E' chiaro che è possibile pensare ad un "crash program", tipo progetto Manhattan, per avere la fusione su tempi più rapidi, ma occorre un impegno di risorse che al momento nessuno sembra disposto ad affrontare, e alla luce di ciò che sappiamo sul picco del petrolio e del gas è lecito chiedersi se, quando qualcuno sarà disposto, queste risorse (leggi energia a basso costo) saranno ancora disponibili. Notiamo comunque che il costo di ITER è elevato, ma non poi così tanto, specie se si tiene conto del numero di partner: si stima di spendere 360 milioni di $ all'anno per i nove anni di costruzione, e 188 milioni di $ all'anno per i dieci anni di utilizzo, da suddividersi tra tutti i maggiori paesi industrializzati. Se pensiamo ai 15 miliardi di Euro previsti per il traforo TAV della Val di Susa, o ai 4,6 miliardi di Euro per il ponte sullo Stretto di Messina, a carico della sola nostra povera Italia...

Ci sono comunque notevoli problemi tecnologici ancora da affrontare, anche se nessuno dei quali insolubile. Solo per fare un esempio, c'è il problema dei materiali più vicini al plasma, che dovranno sopportare flussi di neutroni molto intensi. Si sta ancora lavorando per realizzare materiali che sopportino queste condizioni estreme per tempi sufficientemente lunghi, e infatti è previsto che in parallelo ad ITER venga realizzata una sorgente di neutroni aventi spettro energetico il più possibile simile a quello prodotto nelle reazioni di fusione, detta IFMIF, che sarà dedicata esclusivamente allo studio dei materiali per il reattore.

In conclusione, io credo che sulla fusione valga la pena puntare, visto tutti i soldi che spendiamo in modo molto più inutile in trafori e autostrade, e visto che la lontananza temporale del traguardo e la sua rilevanza non consentono di fare previsioni accurate su quali saranno gli esiti di questa ricerca. Semmai, occorrerebbe evitare di puntare su un solo cavallo, quello della configurazione tokamak, ma dare analoga dignità ad altre modalità di confinamento del plasma (cosa che in parte viene già fatto). In ogni caso, è bene essere coscienti che la fusione non può aiutarci per fronteggiare il picco del petrolio, è qualcosa che verrà dopo. Nel frattempo occorre anche puntare con decisione su altre opzioni, ovvero risparmio energetico, cogenerazione e fonti rinnovabili. Che poi la fusione non sia qualla fonte illimitata ed economica che si pensava nel dopoguerra, non è detto che sia così male: cosa tratterrebbe l'uomo, se fornito di una risorsa siffatta, dal ricoprire tutto il pianeta di cemento?

Per le ultime notizie sull'evoluzione della ricerca sulla fusione, si veda The FirePlace.