La Questione Risorse
Questo articolo è nato come un contributo al libro "Chi Vuol Salvare il Mondo" in preparazione da parte di Carla Nassini e altri. Il libro è strutturato come una serie di interventi da varie associazioni ambientaliste (Legambiente, UNICEF, WWF, eccetera) che espongono le loro tematiche e le loro attività. Anche ASPO-Italia è stata invitata a dare un contributo e il risultato è esposto qui di seguito. Da considerarsi come una breve esposizione divulgativa delle tematiche principali di ASPO.
La questione dell’esaurimento delle risorse minerali è qualcosa a cui la maggior parte di noi non pensa spesso. Nella nostra vita di tutti i giorni non vediamo né miniere né impianti estrattivi. Non abbiamo motivo, di solito, di preoccuparci della lunga fila di petroliere che trasporta il petrolio dal medio oriente ai paesi occidentali. Non abbiamo percezione di quell’immensa rete di tubazioni che porta il metano in Europa dalla Russia e dall’Africa. Non sappiamo nulla delle miniere di rame, di carbone, di ferro, di alluminio e di tanti altri minerali che vengono estratti, scambiati nei mercati e trasportati ovunque sul nostro pianeta. Vediamo tutti i giorni che non ci sono problemi a fare benzina ai distributori, che il riscaldamento a gas di casa nostra funziona, che le merci sono abbondanti nei mercati e nei negozi. Da questo, deduciamo che non ci sono problemi e che non ce ne saranno, ci sembra, per molto tempo ancora.
Tuttavia, alle volte ci viene da pensare che questo immenso flusso potrebbe esaurirsi o, perlomeno, rallentare. In fondo, estrarre minerali somiglia un po’ a fare dei prelievi da un conto in banca. Se continuamo a togliere senza rimettere, prima o poi non rimarrà più niente. Se questo avviene nel caso di un conto in banca, possiamo cercare dei modi per rimediare; trovare dei soldi, fare un versamento e ritornare in positivo. Ma nel caso dei minerali questo non è possibile. I minerali sono stati creati nel corso di ere geologiche e non c’è un modo di rigenerare una miniera esaurita se non aspettare qualche milione di anni. Allora, per quanto a lungo potremo continuare a estrarre petrolio, carbone, gas e tutti gli altri minerali? E’ possibile che un giorno – magari un giorno non lontano – ci troveremo in una situazione equivalente a quella di trovarsi davanti alla scritta “disponibilità esaurite” a uno sportello del bancomat?
Evidentemente, le risorse minerali non sono infinite e ci sono molti casi storici di miniere e giacimenti che sono stati sfruttati fino ad essere abbandonati. Ma quello che si è visto è che non si arriva mai veramente all’ esaurimento totale, ovvero non si arriva mai a zero, come potrebbe succedere per un conto in banca. Quello che succede per una miniera è che l’estrazione raggiunge un massimo, dopo di che si comincia a estrarre sempre di meno. A un certo punto, la quantità di minerale che si riesce a estrarre diventa talmente piccola che non ne vale più la pena. Un esempio è quello delle miniere di carbone della Pennsylvania. Vediamo nella figura la quantità estratta, (o “prodotta” come si usa dire comunemente).
Come si vede, la curva di produzione del carbone ha una forma a “u” rovesciata o, meglio detto, somiglia un po’ a una campana. Questo tipo di curve si osservano comunemente per l’estrazione di tutti i minerali. Non solo, ma le si osservano anche nel caso dell’ “estrazione” di risorse biologiche, se non si da all’ecosistema il tempo di rinnovarsi. Vediamo qui la curva di produzione dell’olio di balena nell’ 800, al tempo di “Moby Dick”. Era il tempo in cui si cacciavano le balene per il loro olio che veniva usato per accendere le lampade.
Il primo a notare questo tipo di curve è stato il geologo americano Marion King Hubbert negli anni ’50. Hubbert non si limitò a notare la cosa, ma la utilizzò per fare delle previsioni. Nel 1956, fece una stima della quantità di petrolio che si sarebbe potuta estrarre negli Stati Uniti e concluse che la curva di produzione sarebbe passata per un massimo verso il 1970, per poi declinare inesorabilmente. A quel tempo, furono pochi a credere a una predizione che sembrava pessimistica, o addirittura catastrofista. In realtà, la produzione di petrolio americana passò per un massimo nel 1971 e sta continuando a declinare ancora oggi. Da allora, il massimo della produzione di una risorsa minerale si chiama comunemente “picco di Hubbert” e la curva che descrive la produzione “curva di Hubbert”
Vediamo quindi che il petrolio degli Stati Uniti non si è ancora veramente “esaurito” e che non si esaurirà ancora per molti anni. Tuttavia, se ne estrae sempre di meno e a un certo punto se ne potrà estrarre talmente poco che non ne varrà più la pena. Quindi, non ci succederà mai di essere presi alla sprovvista dall’esaurimento, ovvero di trovarci a guardare dentro il buco di una perforazione petrolifera per poi grattarci la testa e dire “Accidenti, non ce n’è più!” L’esaurimento delle risorse minerali è una cosa progressiva che da ampi segnali in anticipo di quello che sta succedendo.
Ci aspettiamo lo stesso comportamento, ovvero la stessa curva a campana, per la produzione di petrolio mondiale. Qui, la curva di produzione è più irregolare a causa delle grandi “crisi del petrolio” degli anni 1970. Tuttavia, la produzione sta chiaramente mostrando un rallentamento progressivo, anche se non abbiamo ancora raggiunto il “picco di Hubbert”. Secondo le varie stime, questo picco potrebbe verificarsi fra il 2008 e il 2012 circa. La figura che segue illustra l’andamento della produzione del petrolio fino ad oggi e un’estrapolazione di quello che potrebbe essere il futuro secondo i dati dell’associazione ASPO:
Può darsi che i recenti aumenti del prezzo del petrolio siano un sintomo che il picco si sta avvicinando. Il petrolio potrebbe dunque essere la prima risorsa minerale importante a raggiungere un picco di produzione globale. Dopo il picco, non sarebbe più possibile soddisfare la domanda di prodotti petroliferi e sarebbe molto difficile o costoso usare altre risorse. In sostanza, il petrolio verrebbe a costare di più, il che è già quello che sta accadendo. Se il prezzo del petrolio dovesse aumentare ancora di più, ci troveremmo in notevole difficoltà. Dal petrolio non si fa solo benzina per le automobili. Si fa energia elettrica, riscaldamento, fibre, materie plastiche, fertilizzanti e persino medicinali. Senza petrolio non avremmo niente da mangiare e nemmeno di che vestirci. Non arriveremo a questi estremi a breve scadenza, ma quando il prezzo del petrolio aumenta, tutto costa più caro.
Il caso del petrolio, con il suo picco imminente non è che uno dei molti casi di esaurimento di risorse minerali. Il petrolio è particolare nel senso che è una delle risorse principali (dette “primarie”) e che non lo si può riciclare. Per altre risorse primarie (gas e carbone, per esempio) il problema del picco di produzione è più lontano nel tempo, ma non poi di tanto. Altre risorse, come per esempio il rame, il ferro e altri metalli, si possono riciclare, quindi il problema dell’esaurimento si pone molto meno. Ma senza energia – che oggi viene principalmente dal petrolio – non si può riciclare niente, per cui l’esaurimento del petrolio e delle altre risorse primarie porta come conseguenza l’esaurimento di un po’ di tutte le risorse.
Si tratta allora di chiederci perché esiste un picco di produzione e come mai l’estrazione delle risorse minerali segue proprio quella “curva a campana” che Hubbert notò per primo, ormai mezzo secolo fa. Questo è un punto importante; la questione della curva fa si che ci si trovi davanti a problemi di disponibilità molto prima di quando ci si aspetterebbe contando soltanto l’ammontare delle risorse estraibili. Che cosa ha impedito, per esempio, ai petrolieri Americani di continuare a estrarre il loro petrolio al ritmo di prima del picco?
La cosa si spiega bene pensando al caso delle balene. Immaginiamoci il tempo in cui i balenieri, verso i primi anni del secolo XIX, avevano cominciato a cacciare le balene oceaniche. I primi tempi, c’era grande abbondanza di balene e molta gente si era accorta che si poteva guadagnare bene con le navi baleniere. Con gli anni se ne costruivano sempre di più. Con l’aumento del numero di baleniere, aumentava la produzione di olio di balena, ma diminuiva anche il numero delle balene. A un certo punto, le balene non erano più abbondanti come prima e le baleniere erano costrette a fare viaggi sempre più lunghi per trovarle. Con le balene che continuavano a diminuire, i balenieri cominciavano a catturarne di meno. Piano piano, è andata a finire che le baleniere non rendevano più ai loro proprietari. Verso la fine dell’800 la caccia a un certo tipo di balene, quelle a cui si estraeva olio, è cessata. Da notare che non è stata la sparizione fisica delle balene a causare la fine della caccia, ma il fatto che erano diventate troppo poche perché fosse conveniente cacciarle.
La stessa cosa succede con le risorse minerali. Nella crosta terrestre, i minerali sono sparpagliati in giacimenti di consistenza molto diversa. Certi giacimenti sono “facili” nel senso che non sono a grande profondità e contengono molto minerale utile. Altri sono “difficili” nel senso che sono a grande profondità, oppure contengono poco minerale utile, e questo costringe a fare delle operazioni complicate per separarlo dal materiale che non serve. Ovviamente, si tende a sfruttare prima i giacimenti facili, per attaccarsi poi progressivamente a quelli sempre più difficili via via che quelli facili si esauriscono. Ma, a lungo andare, l’estrazione diventa talmente costosa che non ne vale più la pena.
La storia della curva di produzione del petrolio è simile a quella della caccia alle balene. Una volta, secoli fa, si raccoglieva a mano il petrolio che filtrava da solo in superficie in piccole quantità. Poi, nel 1859, un Americano che si chiamava Edwin Drake ebbe l’idea di scavare per trovare il petrolio sottoterra. Questa era, evidentemente, un’impresa più difficile e costosa. Tuttavia, trivellando si potevano trovare grandi quantità di petrolio. Da allora, di petrolio se ne è estratto sempre di più, ma anche con sempre maggiore fatica. I pozzi del tempo di Drake erano profondi solo poche decine di metri, ma sono ormai esauriti. Oggi bisogna perforare per chilometri per trovare petrolio in quantità utili. E non basta più nemmeno quello, per trovare petrolio oggi bisogna andare a perforare il fondo del mare, quello che si chiama “offshore”, cosa che è, evidentemente, ancora più complicata e costosa. Per questo, arriveremo a un picco mondiale del petrolio, proprio come siamo arrivati al picco dell’olio di balena.
Le considerazioni che abbiamo fatto sono parte di una visione che considera l’insieme economico e produttivo mondiale come un’unica entità: un “sistema”. Questo sistema è formato da tanti elementi correlati e non lo si può capire considerando gli stessi elementi isolati. Per esempio, c’è chi dice. “di petrolio ce n’è ancora, e dunque che problema c’è?” Ma questa è una visione troppo limitata che tiene conto soltanto di un elemento del sistema. E’ vero che di petrolio ce n’è ancora, e anche in abbondanza, ma non ci si può limitare a questa considerazione. Abbiamo visto che ci sono dei fattori economici che fanno sì che una risorsa non si possa, normalmente, estrarre fino al suo esaurimento fisico totale. C’è un limite alla quantità di risorse (ovvero di capitali) che possiamo utilizzare per l’estrazione delle risorse minerali. Quindi, vediamo come il quadro della situazione cambia enormemente considerando la correlazione di due elementi: entità del capitale economico disponibile e entità delle risorse estraibili. Questo tipo di visione viene detto “dinamico”, e alle volte si parla di “dinamica dei sistemi” per indicare questo modo di vedere le cose.
Considerare due fattori del sistema (capitali e risorse) già ci ha fatto fare un grosso passo avanti nella comprensione di cosa ci possiamo aspettare nel futuro. Ma possiamo fare ancora di più e considerare le risorse minerali come parte di un sistema globale (il “sistema mondo”) che contiene anche risorse non minerali (agricole). Inoltre, dobbiamo tener conto di fattori importantissimi come la popolazione e l’inquinamento. Possiamo illustrare la situazione come (immagine cortesia di Magne Myrtveit):
Vediamo che il “sistema mondo” funziona come risultato delle interazioni di diversi elementi che non possiamo considerare isolatamente. Queste interazioni sono complesse e si influenzano l’una con l’altra. Per esempio, l’abbondanza di minerali e di risorse agricole produce un incremento sia della popolazione che dei capitali. Però, produce anche un maggiore inquinamento e questo non è solo un fastidio ma qualcosa che può influire direttamente sui parametri economici del sistema. Pensiamo al riscaldamento globale causato dai combustibili fossili: i disastri che ne conseguono riducono i capitali disponibili, per esempio nella forma delle istallazioni petrolifere del Golfo del Messico distrutte dall’uragano Rita nel 2005. Quando poi l’effetto dell’esaurimento delle risorse minerali comincia a farsi sentire, occorre impiegare risorse di capitali sempre crescenti per contrastarlo. Questi fattori rendono impossibile mantenere l’aumento della produzione e, a lungo andare, causano anche una riduzione della popolazione. Alla fine, il comportamento del sistema mondo somiglia a quello che Hubbert aveva trovato per il sistema più semplice dell’estrazione dei minerali. Ovvero, vediamo una crescita iniziale seguita da una decrescita, o addirittura da un collasso, dopo essere arrivati a un massimo.
Questo tipo di considerazioni, come pure il concetto stesso di “sistema mondo,” furono sviluppate per la prima volta negli anni 1960 da uno scienziato del Massachussets Institute of Technology (MIT): Jay White Forrester al quale si deve la nascita del concetto di “dinamica dei sistemi”. Più tardi, un gruppo di allievi di Forrester svilupparono ulteriormente il modello di Forrester del sistema mondo realizzando uno studio che fu pubblicato nel 1972 con il titolo “I Limiti alla Crescità” (in Italiano, il titolo fu tradotto come “I Limiti dello Sviluppo”). Il risultato di base di questo lavoro era il seguente:
Vediamo come l’interazione di tutti i fattori che abbiamo considerato porta inizialmente a uno sviluppo notevole della produzione industriale e agricola, come pure della popolazione. L’effetto è tuttavia di andare oltre i limiti di quanto le risorse planetarie possono supportare. Di conseguenza, se ne ha un rientro che causato da una combinazione di effetti dell’inquinamento (o effetti climatici) e dalla riduzione del flusso delle risorse nell’economia. Secondo il “modello base” del MIT, ovvero il più probabile secondo i dati disponibili al tempo, il rientro era previsto molto approssimativamente entro i primi due decenni del ventunesimo secolo.
Il concetto di “oltre i limiti” (in inglese “overshoot”) è risultato fondamentale per la comprensione di questi fenomeni. Oggi si stima che per sostenere il ritmo del consumo umano medio delle risorse ci vorrebbe più di un pianeta intero e se si volesse mantenere per tutti il livello di consumo dei paesi ricchi ce ne vorrebbero tre o quattro. La conseguenza di tutto questo è, appunto, il rientro nei limiti che il nostro pianeta ci impone. Questo potrebbe essere traumatico e coinvolgere sia cambiamenti climatici distruttivi, sia guerre e conflitti altrettanto distruttivi (e forse più distruttivi se implicassero armi atomiche). Il modello non può prevedere esattamente dove scoppieranno le guerre o dove gli uragani si abbatteranno, ma quello che stiamo vedendo oggi potrebbe essere un assaggio di quello che ci aspetta.
Lo studio del “MIT”, i “Limiti alla crescita” è stato molto criticato a suo tempo. Se ne dissero tante cose, molte delle quali sbagliate. Si disse, per esempio, che lo studio sottostimava la quantità delle risorse naturali disponibili oppure che non teneva conto del progresso tecnologico. Ma, nel libro del 1972, troveremo altri diagrammi dove gli autori tenevano conto esattamente di queste cose: ovvero, cosa succederebbe se ci fossero più risorse di quanto non si pensi? E cosa succederebbe se il progresso tecnologico ci permettesse di creare altre risorse oggi inesistenti? I calcoli fatti con queste ipotesi dicevano che la data dell’inizio del rientro si spostava in avanti nel futuro, ma che prima o poi sarebbe dovuta arrivare. I calcoli del gruppo del MIT sono stati rifatti di recente, nel 2004, con i dati aggiornati sulla popolazione e le risorse. I risultati non sono molto cambiati rispetto al primo lavoro del 1972. Allora come oggi, si vede che non ci sono soluzioni ragionevolmente prevedibili che ci permetterebbero di continare la crescita continua degli ultimi secoli oltre circa la metà del ventunesimo secolo, anche nelle ipotesi più ottimistiche.
Siamo quindi di fronte a dei problemi che non possiamo ignorare ma che non possiamo neanche considerare come irrisolvibili. Lo diventeranno, tuttavia, se continuiamo lungo la solita strada. Ovvero se continuiamo a cercare di crescere sempre di più sia nei consumi come nella popolazione, senza preoccuparci dell’esaurimento delle risorse e dei danni che stiamo facendo all’ambiente che ci circonda. Danni che – a lungo andare – si ritorcono contro noi stessi.
L’origine dei problemi, alla fine dei conti, sta nel fatto fatto che il sistema economico-industriale creato dagli esseri umani non è “chiuso”, ovvero non ricicla e non riusa i prodotti che scarta. Confrontiamolo con il sistema biologico planetario e vedremo la differenza. Nel sistema biologico non si butta via nulla: quello che è rifiuto per una creatura è cibo per un’altra e l’energia solare viene usata per rigenerare gli scarti finali e ritrasformarli in materia vivente. Il sistema biologico esiste da miliardi di anni. Al contrario, il sistema economico-industriale umano non può durare più di qualche secolo se non si trova il modo di chiudere il ciclo. In sostanza, si tratta di passare da risorse minerali a risorse rinnovabili basate sull’energia solare. Soltanto così sarà possibile liberarsi dall’incubo del collasso da esaurimento delle risorse.