Una introduzione alla teoria di Hubbert

Di Ugo Bardi – Giugno 2004
 
 
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Introduzione. L’aumento dei prezzi del petrolio è stato continuo e inarrestabile dal 1998 circa. Partendo da meno di 20 dollari al barile a quel tempo, i prezzi hanno raggiunto e sfondato nel Maggio 2004, il “tetto” dei 40 dollari al barile. Un valore che, in moneta costante, è pari a quello che nel 1973 dette origine alla prima grande crisi del petrolio.
 
Questi aumenti hanno causato molta preoccupazione e in molti casi si è parlato del “picco di Hubbert“ nell’interpretazione dell’attuale situazione. Secondo Hubbert, la produzione di una risorsa minerale segue una “curva a campana”. Il picco di questa curva è il punto di massima produzione: al di là del quale la produzione comincia inesorabilmente a diminuire.
 
Si parla molto oggi di Hubbert e della sua teoria, ma in Italia se ne sa ancora poco. Queste note sono un’introduzione all’argomento e alla sua rilevanza nell’attuale situazione della produzione di petrolio e di combustibili fossili in generale.
 
La curva di produzione. La teoria di Hubbert non si applica soltanto a qualcosa che accadrà, o potrebbe accadere, nel futuro. Piuttosto, è una descrizione di casi storici ben noti. Più di una volta è stato possibile osservare sperimentalmente che la produzione di una risorsa esauribile segue una “curva a campana”. Storicamente, forse il primo di questi è stata la produzione di olio di balena negli Stati Uniti nel secolio diciannovesimo. Un altro caso è quello della produzione di carbone in Pennsylvania, come mostrato qui di seguito:
 
 
Il caso forse più noto è quello del petrolio negli Stati Uniti, dove la produzione ha mostrato un picco nettissimo del 1970.
 
 
Negli anni ’60, Hubbert stesso aveva previsto il picco degli Stati Uniti per il 1970. A quel tempo, era stato accusato di essere un folle visionario; ma i suoi detrattori devono essere rimasti molto sorpresi quando hanno visto la sua predizione realizzarsi. In tempi più recenti, un picco è stato osservato per la produzione di petrolio nell’Unione Sovietica nel 1990 e un altro per la produzione di petrolio del mare del Nord nel 1999.
 
Non sempre si osservano picchi netti e curve chiaramente “a campana”. In generale, si può dire che la curva di Hubbert si osserva quando l’estrazione della risorsa avviene in condizioni di libero mercato. Se questo non è il caso, per esempio per via di interventi governativi, formazione di monopoli, oligopoli o cartelli, oppure guerre e/o disastri naturali, allora la curva di produzione può essere irregolare e mostrare parecchi massimi. Questo sembrerebbe il caso della produzione da parte dei paesi che aderiscono all’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC).
 
Le ragioni della curva. Inizialmente, la curva a campana della produzione era stata proposta da Hubbert come un modello puramente empirico. Più tardi, è stato possibile chiarificare quali erano le ragioni che generano questo comportamento. Il ciclo di Hubbert è il risultato logico di come i fattori economici operano quando si trovano ad avere a che fare con una risorsa fisicamente limitata, il che è il caso normale per una risorsa minerale non riciclabile come il petrolio. Data questa caratteristica, la curva a campana di Hubbert è inevitabile in un economia di mercato. Possiamo distinguere diverse fasi del ciclo di Hubbert:

 

  • La prima fase: espansione rapida. Inizialmente, la risorsa è abbondante e bastano modesti investimenti per estrarla. In questa fase, la crescita della produzione è esponenziale.

  • La seconda fase: inizio dell’esaurimento. Le riserve “facili”, ovvero quelle meno costose, sono quelle estratte per prime. Con l’esaurimento delle risorse facili, comincia a essere necessario sfruttare risorse più difficili e questo richiede investimenti sempre più consistenti. La produzione continua a crescere, ma non più esponenzialmente come nella prima fase.

  • La terza fase: il picco e il declino. A un certo punto, il graduale esaurimento rende talmente elevati gli investimenti necessari che non sono più sostenibili. La produzione raggiunge un massimo (il picco di Hubbert) e poi comincia a declinare.

  • La quarta fase: il declino finale. In questa fase, normalmente non si fanno più investimenti significativi. La produzione continua, ma il declino procede fino a che non diventa talmente ridotta da cessare completamente.

 

E’ possibile simulare queste caratteristiche con vari modelli: empirici, stocastici oppure basati sulla dinamica dei sistemi. In ogni caso si ottengono curve a campana, anche se non necessariamente simmetrici.
 
La curva globale del petrolio. Quando prendiamo in considerazione la produzione di petrolio dobbiamo per prima cosa chiarire esattamente di cosa si parla. Non sempre gli esperti hanno in mente la stessa cosa ed esistono diversi tipi di risorse fossili dalle quali si possono estrarre combustibili liquidi. In primo luogo esiste il petrolio cosiddetto “convenzionale”, ovvero quello che si estrae in forma di liquido poco viscoso dai pozzi. In aggiunta, abbiamo il petrolio cosiddetto “non convenzionale” che include diversi tipi come il greggio da “acque profonde” e l’ ”olio pesante”. Un ulteriore aggiunta e quella dei gas condensabili. Alcuni includono anche il petrolio che si può estrarre dalle sabbie bituminose. Se poi consideriamo qualsiasi tipo di combustibile liquido, dovremmo prendere in considerazione anche la possibilità di ottenerlo dal gas naturale o dal carbone mediante vari tipi di trattamenti.
 
Ciò detto, prendiamo per ora in considerazione il solo petrolio convenzionale, che comunque per ora rappresenta di gran lunga la frazione più abbondante della produzione. Abbiamo già visto come molte regioni del mondo abbiano già passato il loro picco petrolifero. Questi sono invece i dati della produzione petrolifera globale:
 
 
Nella curva, possiamo riconoscere una fase iniziale di rapida crescita esponenziale (circa il 7% all’anno) interrotta dalla fase delle “crisi del petrolio” dal 1973 al 1985 circa. Dopo questa fase, la produzione ha ricominciato a crescere a un ritmo molto più lento, circa l’1.5% all’anno. Dal 2000, circa, la produzione non è aumentata o è aumentata debolmente. Questo andamento può essere interpretato come un’approssimazione delle prime fasi della curva a campana di Hubbert.
 
La predizione del picco globale. I dati esistenti possono essere estrapolati per determinare la data presunta del picco globale tenendo conto del dato geologico della quantità totale di petrolio geologicamente estraibile. Si tratta di un dato molto incerto ma che comunque è approssimativamente noto. A partire da questi dati è possibile estrapolare la curva nel futuro e ottenere un valore approssimato per il momento per il quale ci aspettiamo il picco. Come esempio, ecco l’interpretazione del geologo francese Jean Laherrere.
 
 
Vediamo qui che il picco per il petrolio convenzionale è atteso, molto approssimativamente, verso il 2005, mentre quello per il petrolio “non convenzionale” dovrebbe arrivare molto più tardi, verso il 2070. La curva totale, somma delle due risorse, arriva al picco verso il 2010.
 
Altri esperti sono arrivati a risultati simili. Ecco un altro esempio, la stima del geologo britannico Colin Campbell. Qui, il picco per il petrolio convenzionale arriva verso il 2005, mentre quello per tutti i liquidi verso il 2010 circa.
 
 
 

Ci sono molte altre interpretazioni basate in vari modi sulla teoria di Hubbert. La maggior parte arriva a stimare la data del picco entro il primo decennio del ventunesimo secolo. Esistono però anche interpretazioni che partono da dati geologici più ottimisti e che arrivano a stimare il picco verso il 2030 o anche più in la.
Tutti quelli che hanno ragionato su questo argomento hanno sostenuto che al picco ci possiamo aspettare un rapido aumento dei prezzi del petrolio come pure una fase di instabilità geopolitica. Entrambe le condizioni sono soddisfatte al momento attuale, per cui più di un autore è del parere che potremmo essere molto vicini al picco o addirittura averlo già passato. Tuttavia, potremo dirlo con certezza solo fra qualche anno.
 
La grande transizione. Cosa ci aspettiamo che succeda esattamente nella “terra incognita” del dopo-picco? Il fatto che il picco sia un evento ben definito ha dato origine a varie interpretazioni, alcune delle quali tendenti a una visione piuttosto apocalittica. C’è chi ha parlato di fine della civiltà e alcuni hanno addirittura ipotizzato il ritorno all’età della pietra (questa è la “teoria Olduvai” di Richard Duncan).
 
Indubbiamente il petrolio è una cosa importante nell’economia mondiale. Rappresenta oggi quasi il 40% dell’energia primaria generata e circa il 90% dell’energia usata nei trasporti. Senza petrolio avremmo delle grosse difficoltà a mandare avanti il pianeta nel modo in cui siamo abituati a vederlo funzionare.
 
Tuttavia non dobbiamo lasciarci prendere da reazioni emozionali. Il picco di Hubbert non è la fine del mondo; è semplicemente la conseguenza inevitabile della combinazione di fattori geologici, tecnologici ed economici. E’ un fenomeno naturale, osservato già molte volte, che non porta necessariamente a disastri se viene gestito come si deve.
 
Il picco segnala la necessità di un cambiamento. Ogni volta che un picco si è verificato nel caso di una risorsa economicamente importante, c’è stato un cambiamento di risorsa. Si puo’ avere semplicemente un cambiamento geografico, quando la produzione viene spostata verso un area dove la risorsa è ancora abbondante. Oppure si può avere un cambiamento tecnologico quando si cambia il tipo di risorsa.
 
Il primo caso, cambiamento geografico, si è visto per esempio quando nel 1971 il picco del petrolio negli Stati Uniti ha reso necessario spostare il baricentro della produzione mondiale nel Medio Oriente. Il secondo caso, cambiamento tecnologico, si è verificato, per esempio, con il passaggio dal carbone al petrolio.
 
Questo tipo di cambiamenti sono non solo possibili, ma anche inevitabili. Non è detto, però, che siano indolori. Nel periodo 1973-1985 il declino della produzione degli Stati Uniti ha causato una serie di instabilità geopolitiche, recessione economica, inflazione a due cifre, disoccupazione e altri sconvolgimenti. Tuttavia, una volta che le infrastrutture necessarie furono create nel Medio Oriente, il sistema di produzione e di distribuzione del petrolio ha ricominciato a funzionare.
 
Oggi, manca la possibilità di risolvere il problema andando a sfruttare altre aree geografiche. Semplicemente, manca un’altra Arabia Saudita. Perciò, dobbiamo prepararci a una transizione tecnologica di qualche tipo.
 
Invece del petrolio. Non ci mancano sorgenti di energia di vario tipo: altri combustibili fossili (principalmente gas naturale e carbone), energia nucleare e fonti rinnovabili. In questo momento, nessuna di queste è in grado di rimpiazzare perfettamente il petrolio, soprattutto per produrre cambustibili liquidi. Può darsi che per un certo periodo dovremo rinunciare a qualcuno dei nostri giocattoli, tipo quelle automobili mostruose che vanno sotto il nome di SUV. Ma non c’è carenza di energia sulla Terra e, se nessuno si fa prendere dal panico, la transizione potrebbe essere una cosa positiva riducendo, fra le altre cose, la quantità di gas serra emessi nell’atmosfera e allontanando il rischio del riscaldamento globale.
 
E’ interessante notare, comunque, come tutte le sorgenti di energia non rinnovabili sono soggette al ciclo di Hubbert. Rimpiazzare il petrolio con carbone oppure con uranio ci farebbe saltare da una curva a campana a un’altra, ma sposterebbe semplicemente in avanti il problema dell’esaurimento. Al contrario, le fonti rinnovabili hanno un comportamento completamente diverso: la produzione segue una curva a “s” che si stabilizza con la saturazione dell’area disponibile.
 
 
Questo tipo di comportamento “non-Hubbert” è più simile all’economia agricola che a quella industriale alla quale siamo abituati. La transizione alle rinnovabili, quindi, potrebbe avere degli effetti piuttosto radicali sull’economia planetaria. Quali siano questi effetti, soltanto il tempo ce lo potrà dire.