Sui Vettori Energetici per i Mezzi di Trasporto nei Primi Decenni del XXI Secolo

1. Introduzione

La scoperta del petrolio, direttamente o indirettamente, ha dato il via a quell’esplosione di benessere che la nostra specie ha sperimentato a partire dal secolo scorso. La sua utilizzazione come fonte energetica si è resa possibile, in brevissimo tempo, ad ogni capo del mondo, con un impatto sulle attività umane talmente forte da rappresentare una vera e propria “inondazione di energia”. Da un altro punto di vista, i materiali ed oggetti di uso comune che derivano dai vari processi di elaborazione del greggio (plastiche, tessuti sintetici, gomme, vernici, solventi, lubrificanti, fertilizzanti etc.) sono numerosi e, oggi, indispensabili.

Sfortunatamente, tale fonte energetica possiede una natura finita, e allo stato attuale delle cose, non si può evitare di misurarsi con interrogativi scottanti: cosa accadrà quando inizierà a scarseggiare il petrolio? E fra quanto tempo inizieremo a sperimentare l’effetto di tale condizione?
Nonostante le preoccupazioni maggiori dovrebbero riguardare l’industria petrolchimica per la produzione di materiali (produrre energia con sistemi alternativi al petrolio è già possibile, mentre non si conoscono ad oggi materiali in grado di sostituire il petrolio nell’industria chimica, né si prevede che saranno disponibili nel prossimo futuro), l’aspetto più affascinante è, secondo chi scrive, l’effetto che si avrà nel comparto dei sistemi energetici e, ancora di più, nei sistemi di trasporto. Cos’è il picco di Hubbert, così importante per le risorse geologiche? Quanto lontano è il picco di Hubbert per il petrolio? Quando inizierà a produrre i primi effetti, ed infine come evolverà l’industria dei trasporti?

Con l’ausilio di mezzi di indagine solitamente trascurati dagli operatori scientifici ed economici ma - ad avviso di chi scrive - più adatti ad una visione globale e realistica dei mutamenti in atto, si tenta di tracciare a grandi linee il quadro della situazione e le probabili linee di sviluppo del prossimo futuro per i vettori energetici (o combustibili) e, di riflesso, per buona parte dei sistemi di trasporto.


2. Prima tappa: Comprendere la vera natura del problema

Nel 1990 il totale di veicoli circolanti sull’intero pianeta ammontava a 445 milioni. Nel 1999 si sono raggiunti i 520 milioni. Il World Energy Council prevede che per gli anni 2020 e 2050 la consistenza del parco veicoli mondiale raggiunga i 1.200 milioni e 2.500 milioni.

Riguardo ai combustibili utilizzati dal parco veicoli globale (il 90% della totalità dei mezzi di trasporto utilizza idrocarburi fossili) per gli anni 1990 e 1999 si sono registrati rispettivamente 7.150 e 7.647 milioni di TEP (Tonnellate di Petrolio Equivalente). Anche volendo accettare le probabilità “ottimistiche” e supponendo una riduzione del consumo specifico di carburante per gli anni a venire, è comunque lecito attendersi per gli anni 2020 e 2050 una domanda di combustibili nell’ordine dei 14.000 e 22.000 milioni di TEP. Questo è lo scenario delle richieste energetiche nel quale sarà definito, per gli anni a venire, il sistema dei trasporti.

Poiché il 65% del petrolio estratto ogni anno si impiega per la produzione di carburanti, l’evoluzione del settore petrolifero si rivela come il fattore di riferimento per qualsivoglia previsione riguardo il settore dei trasporti. A ben vedere, l’evoluzione del sistema dei trasporti, per mezzo dei combustibili, non è altro che uno specchio e un effetto dell’evoluzione dell’industria petrolifera. Di conseguenza, non è solo utile ma anche doveroso che un’indagine seria e coscienziosa si concentri in primo luogo su quest’ultima.


3. Il secondo giorno Dio non interrò cisterne di petrolio

Gli idrocarburi fossili sono risorse geologiche limitate il cui approvvigionamento segue il modello proposto nel 1956 dal geofisico americano M. K. Hubbert. Egli dimostrò che la quantità di petrolio estratto dalle viscere della terra varia nel corso del tempo, ed è rappresentata da una curva a forma di campana (simile alla curva normale di Gauss). Una volta raggiunto il picco della curva, corrispondente all’estrazione di circa la metà della risorsa contenuta nel giacimento, l’accesso ad essa diverrà sempre più complesso, e sempre più costosa l’estrazione. Per questo la quantità totale di petrolio estratto inizierà a diminuire, fino a tendere allo zero. Si rende dunque necessario procedere ad una spiegazione particolareggiata di questo fenomeno.

Il petrolio in un giacimento non è contenuto in quest’ultimo come del carburante in un serbatoio, ma è imprigionato in rocce porose, analogamente all’acqua assorbita da una spugna. Nella prima fase estrattiva di un giacimento, la pressione esercitata su di esso dalla massa di rocce sovrastanti provocherà la spontanea fuoriuscita del greggio attraverso lo sbocco fornito dal pozzo. Raggiunto il punto di equilibrio (diverso a seconda delle caratteristiche specifiche della sostanza e di altre variabili), corrispondente all’estrazione di una certa frazione dell’intera capacità del giacimento, occorrerà intervenire artificialmente per continuare ad estrarre petrolio.

Ma estrarre il greggio da un ammasso di rocce porose situate a svariate centinaia, se non migliaia, di metri nel sottosuolo è impresa tutt’altro che semplice. Nella pratica, sarà possibile estrarre una parte della quantità totale disponibile del petrolio, in una modalità che può essere paragonata all’atto di strizzare la spugna per facilitare la fuoriuscita dell’acqua in essa trattenuta. Tale percentuale dipende dalle caratteristiche del giacimento e dalla densità del greggio in esso contenuto: in linea di massima si riesce ad estrarre petrolio in percentuali variabili fra il 9%, nel caso di petroli estremamente densi, e il 70%, nel caso di petroli eccezionalmente fluidi . Un giacimento cessa di essere sfruttabile quando non garantisce più un opportuno ritorno economico, ossia quando le risorse che si dovrebbero spendere per l’estrazione sono troppo elevate rispetto alla rendita garantita dal petrolio estratto.

Tale caratteristica è comune a tutte le attività estrattive. Per una miniera di metallo, ad esempio, lo sfruttamento termina non quando questo è esaurito, ma quando la sua quantità scende sotto la soglia di convenienza in rapporto a quanta roccia sarà scavata.

Tuttavia questa considerazione “geologica”, rappresenta soltanto un aspetto del complesso di fattori e meccanismi che influenza l’andamento del “mondo” petrolifero. Di conseguenza, al fine di condurre un’analisi esaustiva del problema, non è possibile prescindere da altri importanti fattori. Si tratta di considerazioni quantitative imprescindibili, quale ad esempio il tasso di crescita della domanda energetica mondiale (2-2,5% annuo). Altri elementi, invece, sono di tipo qualitativo: i maggiori giacimenti di petrolio e la quasi totalità delle riserve rimanenti si trovano nelle regioni fra le più socialmente e politicamente instabili dell’intero pianeta.

Le preoccupazioni sul futuro di questa società, letteralmente costruita sul petrolio, non possono ridursi a contare gli anni che restano prima che venga estratta l’ultima goccia del petrolio, perché tale lasso di tempo non è significativo per rispondere alla domanda posta. Anche perché vi è in essa un concetto implicito che va espresso.

Occorre dunque fare un passo indietro ed indagare su quale sia la vera necessità che genera tale dubbio/domanda. La prima preoccupazione, a ben vedere, riguarda la prosperità: per quanto tempo durerà? Per quanto tempo la nostra società potrà continuare a crescere e garantire benefici sulla base delle regole attuali?

La risposta a questa domanda, se le riserve di petrolio fossero analoghe a del carburante in un serbatoio, dipenderebbe dalla valutazione di quanto ne rimane nei giacimenti. Esistono N barili di petrolio ancora da estrarre, ne consumiamo Y all’anno, al consumo attuale abbiamo ancora X anni di status quo. Hubbert ci insegna come i capricci di madre natura si oppongano spesso ad una tale semplificazione.

Arriverà un momento a partire dal quale estrarre petrolio costerà sempre di più. Ma non basta: a questo vanno sommati altri fattori quali la crescita continua della domanda energetica ed i disordini sociali e politici. Se ne conclude che per stabilire quanto “tempo di prosperità” ci rimane, supponendo stabile l’attuale assetto energetico, occorre interrogarsi su quanto petrolio a prezzo ragionevole è possibile ancora estrarre. Il lasso di tempo che ne risulterà, sarà inevitabilmente funzione di più variabili, ma la variabile dominante rimane lo scarto temporale che ci separa dalla fase in cui la curva di Hubbert raggiungerà il suo apice.



4. Il salvadanaio di terracotta

Con una esemplificazione efficace, si può considerare la questione posta alla fine del precedente paragrafo sulla base delle somiglianze che presenta con le caratteristiche di un oggetto di uso comune. Il salvadanaio di terracotta è un oggetto classico e ben conosciuto. Esso è privo di tappo, e dispone di un’unica fessura dalla quale si possono inserire le monete. Non potendone controllare di volta in volta il contenuto, non è dato sapere l’ammontare dei risparmi accumulati.

Il mondo del petrolio, per certi versi, è simile. Si può considerare che ogni nazione produttrice di petrolio possieda un salvadanaio in terracotta. Probabilmente alcuni funzionari sono in grado di stimare il contenuto del salvadanaio, ma nessuno, a livello mondiale, può valutare in modo esatto il contenuto di tutti i salvadanai del pianeta. Questo perché non esiste un’organizzazione sopranazionale in grado di contabilizzare ma soprattutto di verificare le reali disponibilità petrolifere dei singoli paesi produttori . E’ ragionevole pensare che le maggiori compagnie del settore, a fronte di notevoli risorse investite, posseggano delle stime, presumibilmente molto attendibili, sull’entità delle riserve. Ma, contaminati dalla “sindrome delle economie di mercato” , esse non possono fare altro che diffondere informazioni ottimistiche. Sempre e comunque. Fino a che l’evidenza non contraddica le proclamazioni.

Da quanto detto emerge una considerazione palese: vi è un conflitto di interesse. Infatti, coloro i quali detengono le informazioni più attendibili sono le stesse figure che traggono profitto dall’oggetto delle loro indagini. Per garantire agli azionisti orizzonti prosperosi, coloro i quali gestiscono il mercato petrolifero non possono fare altro che rasserenarli convincendoli che va tutto bene, e che non vi sono preoccupazioni per il futuro. La conclusione più saggia rimane, secondo chi scrive, quella di mantenere sempre un atteggiamento critico rispetto alle analisi e alle previsioni diffuse da personaggi o aziende che, direttamente o indirettamente, hanno un interesse non imparziale nelle questioni in oggetto.

Di stime circa la rimanente disponibilità di combustibili fossili ne circolano veramente tante, anche in funzione di una miriade di definizioni terminologiche: si hanno ad esempio le riserve “attive”, “inattive”, “probabili” da P10 a P90, “possibili”, “identificate”, “da scoprire”. Un vero labirinto di numeri e definizioni, così intricato da tenere alla larga chiunque non sia uno specialista del settore. Per quest’ultimo è facile che la questione si risolva con l’ammissione implicita della propria difficoltà di comprensione o gestione dei dati reperiti, e con l’affidarsi a chi ha maggiori informazioni e si presenta come esperto.

Tuttavia esiste un’alternativa, che evita di impostare soltanto sui numeri l’analisi del quadro energetico e che permette di trovare una risposta alla domanda posta poco sopra. Il sistema energetico mondiale è un organismo estremamente gerarchico e di dimensioni imponenti; l’industria petrolifera, che ne è la componente dominante, è un immenso gigante e come tale è caratterizzato da elevate inerzie nei suoi cicli vitali. Sulla base di ciò, chi conosce dall’interno questa industria può ipotizzarne, meglio di altri, le probabili mosse future. Di seguito si seguirà questo percorso, partendo da una serie di considerazioni - raccolte in “punti” - circa l’attuale stato dell’industria petrolifera.


5. Un’istantanea della situazione attuale

Esistono una serie di informazioni basate sui dati di fatto che descrivono il presente ed il passato più prossimo. Tali dati sono l’unico punto fermo in tutto il panorama energetico e da questi conviene partire. Le principali informazioni che possiamo trarre sono sintetizzate nei seguenti punti:

• Da oltre venti anni si scopre meno petrolio di quanto se ne consuma e tale divario continua a crescere.

• Il rapporto fra le potenzialità dei nuovi giacimenti scoperti e gli investimenti per la loro ricerca è in continua diminuzione; dall’anno 2001 il bilancio è in deficit ed il valore di tale disavanzo continua ad aumentare.

• Il picco di Hubbert non è semplice teoria ma qualcosa di concreto; i seguenti paesi sono solo alcuni di quelli che hanno già oltrepassato il picco dell’estrazione del petrolio convenzionale: USA (1972); Europa (2000); Russia (1987); Venezuela (1970).

• I giacimenti attualmente in produzione stanno sperimentando un deplemento compreso fra il 4% ed il 6% annuo mentre la domanda globale cresce mediamente del 2,5% annuo; il deplemento in funzione della domanda si attesta su valori compresi fra il 7% e 9% annuo.

• Il progresso tecnologico delle macchine e gli impianti dell’industria petrolifera non sono in grado di colmare il livello del deplemento dei giacimenti.

• Negli ultimi mesi (settembre-ottobre 2005), l’elevata fluttuazione nel prezzo del greggio è prevalentemente dovuta non ad una scarsità di petrolio immesso sul mercato, bensì all’incapacità globale di raffinazione (le raffinerie fanno da collo di bottiglia). Ma, a fronte di ciò, negli ultimi anni la crescita della popolazione di raffinerie è prossima allo zero.

• Le quote di estrazione che i paesi produttori di petrolio mettono in commercio sono regolamentate ed attribuite sulla base delle riserve dichiarate dal paese produttore stesso. L’Arabia Saudita, il maggiore paese produttore di petrolio al mondo, sta manifestando la volontà di non incrementare la sua quota di estrazione di greggio.

• Nel mese di Marzo 2005 l’OPEC ha dichiarato ufficialmente di aver raggiunto il suo limite di produzione di greggio tradizionale.

• Sulla base dei dati dichiarati, l’insieme dei paesi raggruppati nell’OPEC detiene il 60% delle scorte mondiali di petrolio convenzionale.

Se questa è la situazione attuale, la risposta chiave per valutare quanto manca al picco di Hubbert è strettamente collegata alla consistenza delle riserve di greggio ancora disponibili ed effettivamente estraibili. Per valutare il delta di tempo rimanente verrà utilizzata una via alternativa a quella “canonica” basata cioè sulle stime numeriche.


6. Le compagnie Petrolifere

Shell, Total, Exxonmobil, Phillips, BP, ENI etc. sono multinazionali, il cui scopo è produrre utili e continuare a farlo il più a lungo possibile. Nella prospettiva in cui il prodotto attraverso il quale queste aziende prosperano dovesse scarseggiare, per assicurarsi la continuità, se non addirittura la sopravvivenza, tali aziende si dovrebbero rivolgere ad altre fonti.

Il mercato dell’energia si regge su un equilibrio precario, nel quale i protagonisti si suddividono quote del mercato globale e l’80% di questo è appannaggio delle aziende petrolifere. Queste aziende possono contare su impressionanti risorse finanziare, un enorme patrimonio di conoscenze acquisite e le migliori risorse umane; sono le aziende più grandi, più forti e più dotate. In qualunque modo si strutturi la prossima era energetica, esse saranno ancora protagoniste.

L’inerzia di cui si è parlato a proposito dell’industria petrolifera, nella pratica si spiega con la complessità delle macchine e degli impianti necessari a mantenere in vita il comparto energetico. La costruzione di impianti, quali ad esempio piattaforme e raffinerie, è un’attività estremamente impegnativa in termini di risorse economiche e temporali. Ad esempio, dallo studio di fattibilità di una nuova piattaforma alla sua entrata in produzione passano svariati anni; se si considera poi il periodo necessario per recuperare l’investimento fatto e quello del ritorno economico vero e proprio (guadagno), si può anche superare il decennio.

Quando uno degli attori principali della compagine petrolifera intraprende un’azione, questa si traduce, dal punto di vista economico, in investimenti di miliardi di dollari. Di conseguenza, è palese che questi investimenti abbiano alle spalle approfonditi studi di fattibilità: quando sono in ballo così tanti interessi difficilmente ci si muove a caso. Ma cosa sta accadendo oggi all’industria petrolifera?


7. Dall’oro nero all’oro blu: il protagonista dei prossimi anni

Nel panorama delle attività delle industrie petrolifere stiamo assistendo in questi anni ad un profondo mutamento. La sensazione degli “addetti ai lavori” è di un silenzioso ma deciso cambiamento di rotta. La novità più clamorosa è l’esplicita attenzione che sta prendendo corpo nei confronti del gas naturale, in particolar modo verso la sua liquefazione - in gergo tecnico LNG (Liquefied Natural Gas) - ed il processo GTL (Gas to Liquid), attraverso il quale è possibile ricavare combustibili liquidi dal gas naturale.
Il Mercato dell’LNG garantisce dei ritorni economici veramente esorbitanti per le compagnie petrolifere ed i governi dei paesi produttori. Mentre il petrolio va estratto, portato in raffineria, qui trasformato in prodotti finiti o semilavorati ed infine distribuito agli utenti finali, il gas naturale non necessita di raffinazione e, così com’è estratto dai pozzi, può essere veicolato nei siti di utilizzo ed impiegato come prodotto finale (in realtà occorre “ripulire” il gas estratto da elementi contaminanti quasi sempre presenti, ma detta operazione – detta “gas washing” – è un processo tutto sommato semplice, effettuato spesso nell’impianto di estrazione).
Per i prossimi 15 anni sono già stati progettati nuovi impianti LNG in tutto il mondo, con una diffusione che, in rapporto a questo lasso di tempo, si potrebbe definire a macchia d’olio.

Ma ancora più significativo risulta il crescente interesse nei confronti del GTL. Si tratta di una tecnologia nota da anni ma fino ad oggi decisamente trascurata, a causa della scarsa competitività economica con il greggio a venti dollari al barile. Compagnie petrolifere ed aziende produttrici di macchine ed impianti del medesimo settore, stanno investendo enormi capitali allo scopo di mettere in servizio al più presto queste “raffinerie parallele”.

Mettendo assieme questi aspetti del panorama petrolifero con i piani di sviluppo per l’immediato futuro delle aziende del settore, è possibile giungere ad alcune conclusioni.

Le raffinerie esistenti stanno sperimentando delle serie difficoltà ad assecondare la domanda di prodotti raffinati. A fronte di tali difficoltà non si assiste ad un “aumento della popolazione” di raffinerie, come dovrebbe essere logico e naturale. Al contrario, si investono ingenti risorse per la realizzazione di impianti GTL, manifestando, ad una lettura superficiale, una strategia decisamente inusuale.

Le attività di ricerca di nuovi giacimenti petroliferi, in bilancio negativo ormai da vent’anni, dal 2001 garantiscono un ritorno economico, in termini di potenzialità dei giacimenti scoperti, che non è in grado di coprire gli investimenti per gli stessi. Parallelamente a ciò, si assiste da parte delle compagnie petrolifere maggiori, all’acquisizione di quelle minori od alla fusione delle stesse. In effetti, per aumentare le risorse disponibili è più redditizio acquisire altre compagnie che investire in nuove esplorazioni.
D’altra parte, sta letteralmente esplodendo l’interesse e l’impegno nell’estrazione del gas naturale. Addirittura, si ha l’impressione che le capacità produttive e di trasporto pianificate per i prossimi anni superino di gran lunga quel 2-3% di crescita del fabbisogno energetico mondiale che si è definito precedentemente. (E’ evidente che si stia spostando l’attenzione dai combustibili liquidi verso il gas naturale.)

In sintesi, basandosi sul numero di nuove raffinerie che non sono commissionate e sulla quantità di nuovi impianti per l’estrazione e processo di gas naturale, è lecito attendersi che il picco di estrazione del greggio convenzionale sia veramente prossimo e l’intera industria petrolifera stia spostando il suo baricentro verso il gas naturale. Ma ancora più importante, il picco di Hubbert fisico - in termini economici - dovrebbe essere traslato in anticipo di un intervallo temporale minore o uguale a quel lasso di tempo di cui si è parlato nel paragrafo precedente. Incrementare la capacità globale di raffinazione e veicolazione del greggio in prossimità del picco di estrazione potrebbe essere un’impresa rischiosa e non vedere garantiti gli investimenti effettuati per la realizzazione di nuovi impianti ed infrastrutture.

È ovvio che tale concetto deve essere applicato su scala globale. Nella discesa della curva di Hubbert vi sono comunque nuovi giacimenti da sfruttare (ovviamente a costi più alti perché più difficilmente raggiungibili) e quindi nuovi campi estrattivi e soprattutto piattaforme da progettare, realizzare e mettere in servizio.

In conclusione, sulla base dell’analisi della situazione attuale e dei progetti futuri delle compagnie petrolifere, si direbbe che il gas naturale sta prendendo il testimone, e sarà la fonte energetica dominante per i prossimi 20-30 anni (il periodo necessario per il raggiungimento della maturità del ciclo di vita dei nuovi impianti attualmente funzionanti e di prossima realizzazione).


8. Le conseguenze del mutamento nei sistemi di trasporto

Se il mondo dell’energia primaria muterà, anche i sistemi di trasporto, attraverso i combustibili, dovranno trasformarsi. Tornando allo scenario iniziale, descritto dal World Energy Council ed alle previsioni per le richieste energetiche, è facile comprendere come l’attuale configurazione dei sistemi di trasporto non potrà durare ancora per molto. La conseguenza pratica del raggiungimento e del doppiaggio del picco di Hubbert per il greggio convenzionale (o più precisamente dell’ombra economica del picco fisico) sarà una continua crescita nei prezzi dei carburanti tradizionali; crescita che però sul breve periodo sarà caratterizzata da forti oscillazioni. Il gas naturale assumerà sempre maggiore importanza anche come combustibile per il settore dei trasporti. Il trasporto su terra sarà quello che sperimenterà i maggiori cambiamenti. Per quanto riguarda i sistemi di trasporto aereo, non vi sono alternative tecnologicamente accessibili in un futuro a breve termine per carburanti diversi da quelli tradizionali; riguardo al trasporto marittimo, la vita attesa delle imbarcazioni, molto maggiore dei mezzi terrestri, rallenterà di molto il processo di migrazione.

Il caro petrolio sarà affrontato dalle case automobilistiche con un ventaglio di soluzioni. Una di queste è la motorizzazione ibrida, di cui attualmente si intravedono i primi esempi. Dopo un periodo di transizione caratterizzato dalla commercializzazione di veicoli ibridi nelle svariate combinazioni possibili del benzina-elettrico o del gasolio-elettrico, si assisterà alla messa in vendita di macchine sempre più massicciamente rivolte verso il gas naturale, con motorizzazioni di tipo ibrido o tradizionali.

La diffusione dell’idrogeno come vettore energetico, e delle celle a combustibile per il suo sfruttamento, sarà successiva a queste fasi. Probabilmente passeranno una quindicina di anni prima di osservare un parco circolante di veicoli paragonabili a quanti veicoli a gas naturale circolano oggi. La certezza delle previsioni sulla tempistica dell’introduzione di veicoli ad idrogeno, ancor prima che dai problemi di natura tecnica legati al suo stoccaggio, dipende ancora una volta dal comportamento delle compagnie petrolifere. Questo perché i piani di sviluppo per il lasso di tempo di cui si sta parlando (15 anni a partire da oggi) sono rivolti al gas naturale.

L’idrogeno rientra nei piani futuri, ma non prima di questo arco di tempo. Come si fa ad esserne cosi sicuri? Ebbene, ad oggi (2005) e per i prossimi anni, nessuna macchina, sistema od impianto della catena, necessari allo sfruttamento di questo vettore energetico, è stato commissionato in quantità significative. Nonostante questo, per le compagnie petrolifere la futura implementazione di un’economia all’idrogeno è una questione ormai scontata. Lo si deduce da molteplici dati di fatto. Anzitutto le principali compagnie stanno facendo massicci investimenti nella ricerca e, fra queste, alcune hanno avviato degli esperimenti in contesti “chiusi” (ad esempio, la Shell con il progetto Islandese di autonomia dai combustibili fossili).

Le aziende dedite alla realizzazione delle celle a combustibile, fino a pochi anni fa si potevano contare sulle dita delle mani; negli ultimi mesi si è rilevato che la quasi totalità delle grandi aziende petrolchimiche e meccaniche con interessi nel comparto dei trasporti hanno attivato progetti di sviluppo in questo settore. Infine, come prova decisiva, vi è il recente accordo (autunno 2005) fra le compagnie petrolifere e quelle che producono gas tecnici, secondo il quale queste ultime “concedono in esclusiva” alle prime la produzione di idrogeno come combustibile per autotrazione.

Nel contesto dell’industria petrolifera potrebbe essere coniato il seguente aforisma: “Se si vuol sapere come sarà il comparto energetico fra 15 anni occorre osservare cosa è in costruzione oggi. Se si vuol sapere come sarà il comparto energetico fra 30 anni occorre osservare cosa c’è nei laboratori di ricerca oggi. Ma alla base di tutto si consideri come timone l’istinto di sopravvivenza delle specie. Istinto che accomuna non solo tutte le specie viventi organiche ma anche società, paesi e soprattutto, nel nostro caso, imprese”.


9. La certezza di un’economia all’idrogeno

Il ricorso all’idrogeno come carburante del futuro è assicurato da ragioni strategico-economiche, ancor prima che da motivazioni tecnologiche od ecologiche. E’ fuor di dubbio che il mercato dell’energia sia in mano alle compagnie petrolifere. Questo perchè i combustibili che esse producono e distribuiscono rappresentano la linfa vitale della società contemporanea. Inoltre, le capillari reti di veicolazione e distribuzione di questi costituiscono un patrimonio immenso. Tali aziende faranno di tutto per mantenere il loro privilegio: si tratta di una strategia di “sopravvivenza”, come si diceva poco sopra.

Stravolgere quest’assetto, mettendolo in discussione, non gioverebbe a nessuno, meno che meno ai governi della quasi totalità dei paesi del pianeta, per i quali gli attuali vettori energetici rappresentano irrinunciabili voci di entrata.

In questa prospettiva, l’idrogeno è – ad oggi - l’unica alternativa ai combustibili fossili (sia liquidi che gassosi) in grado di soddisfare le esigenze delle aziende che detengono il mercato dell’energia. E’ infatti un vettore energetico in grado di sfruttare buona parte della filiera produttiva dei combustibili tradizionali, soprattutto del gas naturale, quest’ultimo la fonte energetica dominante dei prossimi 20 – 30 anni.

Quando i tempi saranno maturi (ossia quando anche il gas naturale raggiungerà il picco di Hubbert) la conversione “all’idrogeno” dei sistemi energetici richiederà risorse decisamente limitate; già oggi tale passaggio sarebbe tecnicamente realizzabile. Dal momento che, negli anni che ci separano dalla fase attuativa, il progresso tecnologico porterà a maturazione le nuove macchine, i materiali e i processi necessari, dovrebbero dissolversi tutte le incertezze residue sulla fattibilità di un’economia all’idrogeno.

Resta infine la questione relativa alla produzione dell’idrogeno ma paradossalmente, grazie alle enormi potenzialità dei molteplici metodi di produzione, questa si rivelerà una problematica secondaria. Nella medicina contemporanea, un trapianto cardiaco, complesso e difficile, è considerato ormai una pratica comune, mentre la sostituzione dell’intero sistema vascolare resta un’operazione impossibile. Allo stesso modo, considerando il contesto delle energie primarie dei prossimi decenni (gas naturale in declino, nucleare e rinnovabili in procinto di prenderne il posto quali fonti dominanti), la produzione dell’idrogeno rispetto alla sua distribuzione – dai siti di produzione ai serbatoi dei veicoli od alle utenze finali – ha dimensioni decisamente minori.

Per concludere, si vuole ribadire come le tesi evolutive delineate con il presente lavoro siano, a giudizio di chi scrive, le più verosimili ma soltanto sotto la vincolante ipotesi che rimanga invariato per il medesimo periodo temporale l’attuale assetto del mercato dell’energia. Nel caso in cui l’attuale configurazione del comparto energetico dovesse rivoluzionarsi, decadrebbero le ipotesi di base della presente analisi. Tuttavia l’effetto collaterale di una rivoluzione energetica in un lasso di tempo così breve comporterebbe, pensandoci bene, effetti catastrofici per una buona parte delle società industrializzate. Non rimane perciò che augurarci per i prossimi decenni una rassicurante stabilità.




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