Problematiche quantitative e prospettive per le rinnovabili in Italia
Domenico Coiante – Amici della Terra
1 – LA SITUAZIONE DELL’ENERGIA RINNOVABILE IN ITALIA
1.1 – La produzione di energia e il contributo delle fonti rinnovabili
La seguente Fig.1 mostra la ripartizione per fonte primaria del consumo energetico nazionale per il 2004 secondo i dati del Rapporto Annuale Energia e Ambiente (REA) dell’ENEA [1].
Fig.1 – Il consumo energetico italiano del 2004 per fonti primarie
Il contributo dell’energia rinnovabile endogena è pari al 8.3% del consumo complessivo e deriva in gran parte dalla produzione idro-geotermoelettrica (5.5%), mentre le NFER vere e proprie contribuiscono per l’1.3%. Però, poiché il contributo dell’elettricità importata dall’estero proviene essenzialmente dalla produzione nucleare di Francia e Svizzera, si considera come “rinnovabile” anche la quota del 5% d’importazione. Pertanto nelle statistiche europee viene attribuita all’Italia una quota di produzione di energia rinnovabile pari a circa il 13% del consumo nazionale di energia.
Per vedere con maggiore dettaglio la situazione, conviene far riferimento alla Tab.1, nella quale sono stati riportati i dati ENEA, però accorpati secondo una classificazione logica diversa, in modo da rendere evidente il contributo delle Nuove Fonti di Energia Rinnovabile (NFER) rispetto a quello delle altre fonti rinnovabili endogene tradizionali e ai recuperi energetici derivanti dalla cogenerazione, dai RSU e dal biogas di discarica.
Le diverse voci del bilancio sono quelle stesse che fanno parte del resoconto contenuto nel REA, che, si ricorda, costituisce la fonte ufficiale ISTAT per i dati energetici. Pertanto, anche se è discutibile considerare la legna da ardere come sorgente non inquinante in assoluto, essa ai fini del bilancio della CO2, viene considerata fonte rinnovabile a tutti gli effetti e, quindi, come tale sarà da noi conteggiata.
Tab.1 – Energia primaria in Italia nel 2004
1Fonte dei dati: ENEA, Rapporto Energia e Ambiente 2005. L’energia espressa in TWh si riferisce all’energia elettrica, mentre quella espressa in terajoule (TJ) attiene all’energia termica.
2I dati di produzione energetica sono stati elaborati secondo i seguenti fattori di conversione in petrolio: 1 TWh (elettr.) = 0.22 Mtep (efficien. centrali =39%) per idroelettrico, geotermoelettrico, eolico, biomasse, fotovoltaico; 1 TWh = 0.286 Mtep (efficien. = 30%) per biogas e RSU; 1 TJ (term.) = 0.0000239 Mtep.
3NFER = Nuove Fonti Energia Rinnovabile
4RSU = Rifiuti Solidi Urbani
5Il dato contiene tutti i contributi delle fonti rinnovabili, dei recuperi d’energia e della cogenerazione. Esso differisce dal dato statistico ufficiale di 195.5 Mtep (Rapporto REA 2005) perché questo non contiene il contributo di 2.3 Mtep di alcune rinnovabili (es. legna. RSU, ecc).
Riassumendo la situazione, si ha che le fonti endogene (rinnovabili e recuperi energetici) contribuiscono al bilancio energetico nazionale per 16.5 Mtep corrispondenti all’8.3% del consumo totale. Il contributo maggiore a questa quota viene dalle fonti rinnovabili tradizionali (Idroelettrico, Geotermia e legna da ardere) con 12.2 Mtep, corrispondenti al 6.2% del consumo energetico totale. Le NFER contribuiscono per circa 2.6 Mtep corrispondenti allo 1.3%.
Il grafico della seguente Fig.2 illustra in maggiore dettaglio la situazione distinguendo visivamente i diversi contributi dell’eolico, del solare e delle nuove biomasse all’interno della quota dello 1.9% attribuito alle NFER e ai recuperi d’energia.
La prima e immediata conclusione a cui si perviene è che, se si vuole realmente incidere sul risanamento ambientale facendo ricorso alle NFER, occorre agire decisamente per aumentarne il piccolo contributo attuale (pari all’1.9%), con azioni promozionali significative su tutte le opzioni possibili
1.2 – Le dimensioni del problema in relazione agli impegni di Kyoto
Si assuma come riferimento la dimensione geografica italiana.
La situazione di dettaglio mostrata nella Tab.1 ci dice che il consumo energetico italiano del 2004 è stato pari a 197.8 Mtep di cui solo 16.5 Mtep provengono dalle fonti rinnovabili endogene e 10 Mtep entrano nel bilancio come energia elettrica importata. Quindi, ammettendo ottimisticamente che tutta l’elettricità importata sia esente da emissioni di CO2, perché proveniente dal nucleare francese e dall’idroelettrico svizzero, rimangono circa 171.3 Mtep che derivano dai combustibili fossili.
Nel 2003 il contributo all’effetto serra dovuto alle emissioni del sistema energetico è stato di 477 Mt di CO2 equivalente [1], mentre per il 2004 non sono stati ancora forniti i dati definitivi. Si supponga in prima approssimazione che si sia conservato il valore di 477 Mt come per il 2003. Pertanto si può concludere che ogni Mtep consumato nel 2004 di provenienza da combustibili fossili sia stato accompagnato dall’emissione di 2.78 milioni di tonnellate di CO2 equivalente .
Si assuma poi che, in accordo al Protocollo di Kyoto, sia necessario ridurre le emissioni dei gas serra del 6.5% rispetto al valore del 1990 (riferimento per il settore energetico = 419 Mt [1]), come prescritto dall’obiettivo fissato per l’Italia al 2012. Ciò si traduce nel fatto che le emissioni del sistema energetico devono scendere ad un livello annuale pari a 392 Mt, partendo dal valore di 477 Mt del 2004. La conseguenza è che si dovrebbe arrivare a ridurre di 85 Mt le emissioni annuali del nostro sistema energetico nel corso di 8 anni, cioè di 10.6 Mt all’anno, per un abbattimento totale del 17.8% rispetto al livello odierno. Passando dalle emissioni alle quantità di combustibili fossili che le producono, occorre, o ridurre il consumo di energia fossile attuale della stessa percentuale, cioè di 3.8 Mtep all’anno, o sostituire questo con la produzione da fonti rinnovabili, o provvedere con altri meccanismi del tipo dell’ emission trading.
In definitiva, a partire dal 2004, il Protocollo di Kyoto impone all’Italia una sostituzione di 3.8 Mtep all’anno di combustibili fossili, sia con energia rinnovabile, sia con il risparmio energetico, sia con altri mezzi, per un totale al 2012 di circa 30 Mtep, cioè una riduzione rispetto al consumo attuale di energia fossile di circa il 18%. Se poi si volesse considerare anche il fatto che la tendenza del consumo nazionale di combustibili fossili per il futuro è per un aumento di oltre il 2% all’anno, la compensazione di tale incremento richiederebbe un notevole aumento di tutte le cifre sopraindicate.
A prescindere dal valore puntuale delle stime ottenute, qualora si volesse incidere in modo sostanziale sulla crisi climatica adoperando le fonti rinnovabili, si arriverebbe a concludere che la dimensione del problema energetico-ambientale italiano è tale che il Mtep è l’unità di misura dell’energia da usare per contabilizzare il contributo annuale di energia rinnovabile da produrre.
Tutte le varie iniziative di promozione delle rinnovabili, per altro sempre meritorie, devono avere a riferimento quantitativo il Mtep per poter produrre effetti ambientali significativi. Per sottolineare questo importante e spesso trascurato concetto, facciamo l’esempio dell’eolico, che risulta attualmente come il caso più significativo del panorama sulle Nuove Fonti Rinnovabili. Poiché tale fonte produce energia elettrica, allora l’unità di misura corrispondente al Mtep è ricavabile dall’equivalenza 1 TWh = 0.22 Mtep, cioè 1 Mtep = 4.5 TWh. Quindi, per avere rilevanza ambientale, dovremo ragionare con produzioni energetiche, non in termini di kWh, né di milioni di kWh, ma di miliardi di kWh (1 TWh = 1 miliardo di kWh).
A fronte di tutto questo, secondo i dati ISES del gennaio 2005 si ha che la potenza eolica totale installata al 2004 era di 1260 MW con una produzione di elettricità di circa 1.8 TWh. In termini di energia fossile sostituita, l’intera attività eolica equivale ad un risparmio di combustibile pari a circa 0.4 Mtep, cioè lo 0.23% del consumo totale di fossili, a cui corrisponde la rimozione di circa 1.1 Mt di emissioni di CO2, cioè lo 0.23% di quelle totali emesse dal nostro sistema energetico.
Rispetto alle dimensioni sopra evidenziate, si conclude che il contributo eolico è oggi irrilevante e che, quindi, si dovrebbe fare un massiccio ricorso, oltre che all’eolico, anche agli impianti delle altre fonti rinnovabili.
Pertanto, visto il dimensionamento del problema, sorge spontanea la necessità di appurare se esiste in Italia la disponibilità di una così grande quantità di energia rinnovabile.
2 – IL POTENZIALE DELLE NFER IN ITALIA
2.1 – La densità di energia sul territorio
A causa della natura diffusa sul territorio della radiazione solare, tutte le NFER hanno una produzione energetica che dipende direttamente dalla superficie occupata dagli impianti di sfruttamento. Pertanto, la quantificazione del potenziale energetico è strettamente collegato alla densità superficiale di energia a cui ciascuna fonte può fare riferimento con la sua tecnologia di sfruttamento. Poiché la tecnologia è in continuo miglioramento, la quantità di energia secondaria prodotta per unità di superficie risulta anch’essa in evoluzione. In definitiva, il potenziale energetico delle NFER non può essere considerato costante, ma la sua valutazione dipende dallo stato della tecnologia nel momento in cui tale stima si effettua. Per questo motivo, nella Tab.2, vengono fornite due stime: la prima, si riferisce alla densità di energia valutata sulla base dello stato attuale delle diverse tecnologie e la seconda costituisce una previsione effettuata estrapolando lo sviluppo tecnologico nel medio-lungo periodo. I dati sono presentati come un intervallo di valori ai cui estremi si trovano le caratteristiche minime e massime dei diversi siti sfruttabili in Italia.
La terza e quinta colonna della tabella contiene i valori della densità di energia delle diverse fonti, così come essi emergono dai calcoli basati sulla trasformazione dell’energia rinnovabile primaria nella forma d’energia secondaria (elettrica, termica, chimica) erogata dagli impianti. Per poter procedere ad un confronto tra le fonti, conviene risalire al contenuto di energia chimica equivalente al petrolio che dovrebbe essere usato nei corrispondenti impianti convenzionali per avere la stessa quantità di energia rinnovabile. Si ottiene, così, la quantità di petrolio risparmiabile in teoria per ogni km2 di terreno occupato con la rispettiva fonte rinnovabile. Le cifre riportate nella quarta e nell’ultima colonna sono appunto il risultato di questo calcolo.
Nel leggere la tabella si considerino le seguenti avvertenze:
1) Per l’energia elettrica si è fatto uso della consueta equivalenza media per la produzione termoelettrica nazionale da olio combustibile (1 kWh = 2200 kcal = 9.21 MJ). Si è considerato soltanto l’uso finale elettrico, senza prevedere ulteriori trasformazioni.
2) Per l’equivalenza dell’energia solare termica si è considerata un’efficienza media degli impianti convenzionali di combustione, alimentati ad olio combustibile, pari all’85%.
3) Per l’energia termica ottenuta dalle biomasse si è assunto che, in prima approssimazione, l’efficienza dei combustori fosse la stessa dei bruciatori ad olio.
4) Per il solare termodinamico si sono prese in considerazione le due filosofie di impianto attualmente sperimentate: concentrazione con torre solare e specchi piani riflettenti (Central Receiver System = CRS) del tipo della centrale dimostrativa “Solar Two” di Barstow (California – USA); concentrazione con specchi parabolici lineari o con specchi parabolici a concentrazione puntiforme (Distributed Collector System = DCS).
Tab. 2: Situazione tipica della densità superficiale di energia rinnovabile annuale sul territorio italiano
1La produzione delle fonti elettriche è considerata tutta destinata all’uso finale elettrico
4Si è considerata un’efficienza di conversione delle centrali pari al 35%, cioè 1 kWh = 2500 kcal.
Fonte: D. Coiante, Le nuove fonti di energia rinnovabile. Franco Angeli- Milano 2004
Può essere interessante esaminare i dati in un confronto comparativo:
a) Si nota il grande valore della densità di energia solare termica presente al suolo rispetto a tutte le altre forme d’energia.
b) Guardando le cose in prospettiva, dalla seconda tabella spicca il dato significativo del fotovoltaico, la cui densità d’energia va quasi a raggiungere quella del solare termico, lasciando così prevedere un rilevante impatto strategico di questa tecnologia sugli sviluppi futuri delle fonti rinnovabili. Per comprendere meglio questa affermazione si consideri che 100 GWh di elettricità all’anno, estratta da ogni km2 di area occupata con impianti fotovoltaici ed usata tale e quale, corrispondono a un risparmio da parte degli impianti termoelettrici di circa 22 milioni di kg di petrolio, cioè circa 160000 barili all’anno.
c) Le biomasse possiedono una densità di energia molto più bassa rispetto alle altre fonti rinnovabili. Ciò è originato dal basso valore dell’efficienza energetica complessiva del processo fotosintetico (dalla fotosintesi alla conversione chimica nei vari composti del carbonio). Infatti, il valore dell’efficienza media di trasformazione della radiazione solare in energia chimica della sostanza vegetale, ottenuta in coltivazioni a tutto campo, si colloca nell’intervallo (0.5¸1)%. La necessità di procedere ad ulteriori processi di trasformazione abbassa ulteriormente questa efficienza.
In conclusione, la Tab.2 fa il punto della situazione dei cosiddetti giacimenti di energia rinnovabile, cioè essa mostra, nella quarta colonna, la densità di energia equivalente al petrolio che si potrebbe ricavare dalla coltivazione del territorio italiano con le NFER. I dati si riferiscono allo stato attuale delle diverse tecnologie e sono suscettibili di miglioramento mano a mano che le tecnologie si evolvono. Si può vedere che la produttività delle diverse tecnologie può essere classificata, in ordine quantitativo, a partire da quella del solare termico (collettori solari), proseguendo poi con quella del fotovoltaico (moduli di celle fotovoltaiche), del solare termodinamico (concentratori solari piani e parabolici) e dell’eolico (aerogeneratori). Per le biomasse in usi termoelettrici la produttività è situata più in basso di circa un ordine di grandezza, mentre per i biocombustibili ci sono circa due ordini di grandezza.
Questo ha come conseguenza che per produrre energia equivalente ad 1 Mtep occorre impegnare un’area di 48 km2 con il solare termico, oppure 67 km2 con il fotovoltaico, o 77 km2 con il solare termodinamico, o 100 km2 con l’eolico (in questo caso però la produzione energetica è compatibile con l’uso zootecnico ed agricolo della maggior parte del territorio perché l’area effettivamente occupata da un aerogeneratore si riduce a qualche centinaio di m2). Infine occorrono 1000 km2 con le biomasse e 13000 km2 con i biocombustibili.
I numeri sono tanto grandi che sorge il dubbio se esista realmente la disponibilità di tale territorio in Italia.
La risposta, che può essere tratta dalla seguente Tab.4, è positiva: le aree marginali (terreni aridi e abbandonati, coperture di edifici industriali e commerciali) ammontano a 22600 km2, pari al 7.5% del territorio nazionale (dati censimento del ’91).
Tab.3 – Destinazione d’uso del territorio italiano
1Coltivazioni arborescenti: oliveti, frutteti, noccioleti, vigneti, pioppeti, ecc.
Uno studio specifico [3], effettuato nell’ambito del Progetto Finalizzato Energetica 2 del CNR, aveva già quantificato negli anni ‘80 l’ammontare dei terreni marginali incolti in circa 2 milioni di ettari (cioè 20000 km2) e i dati statistici più recenti (ISTAT 2005) registrano un’ulteriore diminuzione dei terreni SAU da 158000 km2 a circa 138000 km2. Si tratta perciò di circa 2 milioni di ettari che nel decennio 1990-2000 si sono aggiunti ai terreni marginali registrati in tabella, il cui ammontare odierno è arrivato a circa 4 milioni di ettari.
Per capire che cosa significa questa estensione territoriale in termini di energia rinnovabile, facciamo un esercizio ipotetico sull’impiego del fotovoltaico.
Con qualche piccolo calcolo di trasformazione applicato ai dati della densità di energia otteniamo che per produrre 1 TWh di elettricità è necessario impegnare 14 km2 di terreno (nel caso migliore).
Pertanto, se volessimo usare 2 milioni di ettari delle aree marginali, potremmo ottenere circa 1600 TWh all’anno.
Il fabbisogno elettrico odierno è di circa 320 TWh, per cui basterebbero 4480 km2 (cioè l’11.2% dei terreni marginali) per produrre l’intero fabbisogno elettrico nazionale.
Naturalmente si tratta di un esercizio puramente ipotetico, volto soltanto a far capire che il potenziale energetico delle NFER è sovrabbondante rispetto al fabbisogno nazionale di energia, mentre nella pratica, come vedremo, le cose stanno diversamente.
Può essere definito per ciascuna fonte rinnovabile come la quantità di energia che potrebbe essere annualmente prodotta con le attuali tecnologie di sfruttamento a prescindere dal costo di produzione e da altre limitazioni di carattere tecnico oggi presenti.
La quantificazione del potenziale accessibile per ciascuna fonte rinnovabile richiederebbe un’analisi puntuale sul territorio italiano da effettuare consultando attentamente le mappe tematiche in modo da identificare nel territorio i siti adeguati e la loro estensione in km2. Tuttavia, la semplice consultazione, sia della mappa eolica [4], sia soprattutto di quella della radiazione solare [5], permette di affermare che il potenziale italiano delle fonti rinnovabili è sovrabbondante rispetto al fabbisogno energetico nazionale (197 Mtep nel 2004).
2.3 – Il potenziale energetico praticabile (potenziale tecnico)
E’ definito come l’energia che potrebbe essere prodotta annualmente utilizzando le attuali tecnologie delle fonti rinnovabili in presenza dei limiti tecnici e degli ostacoli di compatibilità territoriale con le altre attività economiche prioritarie.
1) Fonti rinnovabili elettriche (eolico, fotovoltaico, solare termoelettrico)
Per lo sfruttamento in grande scala di queste fonti esiste il limite tecnico dovuto alla intermittenza casuale della loro produzione. Infatti, la rete elettrica nazionale, a cui gli impianti devono essere collegati per convogliare l’elettricità prodotta verso gli utenti, può accettare in connessione una quantità limitata di potenza intermittente, al di sopra della quale insorgono gravi problemi di stabilità della rete. Il limite di accettazione dipende dalla configurazione della rete e dal grado di interconnessione con altre reti confinanti. Nella situazione attuale italiana, si considera pericoloso per la stabilità della rete superare con la potenza intermittente totale un valore situato tra il 10% e il 20% della potenza complessiva dei generatori convenzionali attivi in rete. Considerando il fatto che i diagrammi di generazione della potenza del solare e dell’eolico mostrano un certo grado di complementarità, si può assumere che l’insieme delle fonti si comporti in modo meno intermittente di ciascuna singola fonte. Per tale motivo, si ritiene ottimisticamente che il limite di accettazione possa essere spinto fino al 25%. Pertanto, supponendo che il parco dei generatori termoelettrici attivi della rete italiana ammonti a circa 50000 MW, potremo pensare di collegare impianti di energia rinnovabile per un massimo di 12500 MW. La situazione italiana per i fattori di capacità medi delle tre fonti va da circa 1900 ore equivalenti all’anno per l’eolico alle 1500 ore per il solare, per cui, assumendo un fattore medio di 1700 ore, la produzione annuale energetica sarebbe pari a 21.2 TWh, cioè circa il 7% del fabbisogno elettrico nazionale. Il risparmio di combustibili fossili sarebbe di 4.7 Mtep, cioè il 2.4% del consumo energetico totale.
Pertanto il potenziale praticabile complessivo per le fonti rinnovabili elettriche si colloca oggi intorno a 4.7 Mtep.
Il consumo di energia primaria nel settore residenziale per il riscaldamento domestico e per l’acqua calda è stato nel 2002 di circa 22 Mtep [1]. Anche se in linea di principio esiste la possibilità di produrre tutta questa energia con i collettori solari, il fatto di non poter accumulare il calore per lungo tempo riduce questa possibilità a circa il 30%. Quindi il contributo ottenibile dal solare termico sarebbe di 6.6 Mtep. In base alla Tab.3 la produzione di questa energia richiederebbe una superficie di 500 km2, se i collettori fossero installati tutti nel Nord Italia, e 300 km2, se essi fossero installati tutti al Sud e nelle Isole. A prima vista, l’entità di queste cifre può creare qualche perplessità, ma si può facilmente dimostrare che esse sono compatibili con le aree complessive dei tetti delle abitazioni e delle pertinenze degli edifici abitativi.
Pertanto, il potenziale praticabile per il solare termico si aggira intorno ai 6.6 Mtep.
Il territorio italiano ha una superficie totale pari a 301338 km2. La sua suddivisione a fini di utilizzo è illustrata nella precedente Tab.4.
a) Come è possibile notare, il 75% del territorio italiano è impegnato dalle attività agricole tradizionali. Fa eccezione soltanto la quota del 7.5% dei terreni marginali e incolti, abbandonati perché economicamente improduttivi. Una parte di questa quota è costituita dalle coperture degli edifici agricoli di servizio. La possibilità di riportare a coltura redditiva questo tipo di terreni è stata più volte esaminata, ma le varie proposte sono state scartate, tanto che la quota è in continuo aumento. Il motivo fondamentale dell’abbandono dei terreni è dovuto al fatto che la natura fisica accidentata e l’ubicazione in zone aride rende queste aree molto poco produttive per qualsiasi coltura, ponendole al di sotto della redditività economica. E’ pertanto da escludere che da queste aree possa venire un contributo significativo come coltivazione di biomasse per usi energetici, mentre da esse, come si è accennato sopra, potrebbe venire un grande contributo dalla “coltivazione” a fotovoltaico.
b) Il 9.6% del territorio è occupato dalle coltivazioni arborescenti tradizionali come oliveti, vigneti, noccioleti, frutteti, pioppeti per la produzione della carta, ecc. L’associazione ITABIA, che raggruppa la maggior parte degli operatori italiani del settore delle biomasse, ha stimato che la quantità degli scarti legnosi provenienti da questo settore ammonta a circa 33 Mt di materia legnosa secca [6] corrispondenti a circa 13.2 Mtep (1 kg materia secca = 4000 kcal). Per questioni di convenienza economica, derivanti essenzialmente dalle difficoltà logistiche che s’incontrano a rendere disponibile questo materiale per gli usi energetici, soltanto il 6% circa di esso (2 Mt) è oggi utilizzato per produrre energia termica, compresa la piccola parte dedicata alla produzione di elettricità. Pertanto la produzione energetica attuale derivante dagli scarti agricoli ammonta a circa 80400 TJ cosa che in termini di petrolio equivalente vale circa 1.92 Mtep. Di questa quantità, una quota di 0.482 Mtep è stata impiegata nel 2004 per la produzione elettrica ed è stata ufficialmente contabilizzata, mentre il rimanente 1.44 Mtep sfugge all’inventario energetico nazionale in quanto si tratta di consumo interno alle aziende agricole. Dalla definizione che si è assunta per il potenziale praticabile deriva che, se prescindiamo dalle considerazioni economiche, non esistono particolari ostacoli tecnici all’utilizzo di una parte maggiore degli scarti agricoli. Una migliore organizzazione nella raccolta e nel trasporto del materiale, congiuntamente ad una localizzazione diffusa delle centrali energetiche, potrebbe portare allo sfruttamento di almeno il 50% degli scarti agricoli disponibili, cioè 16.5 Mt = 277500 TJ. Pertanto è possibile affermare che nel medio periodo si potrebbero aggiungere ai 2 Mtep attuali delle biomasse altri 4.6 Mtep per un totale di energia di circa 6.6 Mtep all’anno.
c) Il 29.2% del territorio è impegnato a seminativo. Si tratta dei migliori terreni agricoli, quelli ad alta redditività, dove è possibile l’esercizio dell’agricoltura intensiva. Per questioni di bilancio agricolo della UE ed anche per esercitare la pratica dell’alternanza delle colture, nel 1988 sono restati incolti 800000 ettari (set aside volontario). Nel 1995 questa cifra si è ridotta a 207000 ettari a causa della normativa comunitaria più restrittiva. Rimane tuttavia il fatto che la quantità di terreni a bassa produttività si aggira tra le due cifre. Una parte di questi terreni può essere destinata annualmente alle coltivazioni energetiche di piante a rapida crescita ed a corta rotazione (pioppo, salice, robinia, eucalipto, ecc). La produttività di queste colture nel territorio italiano si aggira intorno alle 20 t/ha di materia secca, a cui corrisponde un’energia termica netta di circa 325 GJ/ha. L’ITABIA stimava che la quantità di terreni che nel ‘95 erano destinati alle colture delle biomasse legnose si aggirava intorno ai 5000 ettari [6], ma questa quota potrebbe facilmente crescere colonizzando i terreni “set aside”. Assumendo prudenzialmente che nel medio termine siano destinabili a queste colture 250000 ettari sugli 800000 disponibili, l’energia termica ricavabile sarà pari a circa 81250 TJ, corrispondenti a circa 1.9 Mtep.
d) Un’altra parte dei terreni da collocare a riposo può essere destinata alle coltivazioni delle piante dai semi oleaginosi (colza, girasole), dai quali è possibile ricavare il bioestere, il cosiddetto biodiesel. La produzione media per ettaro di energia netta sotto forma di biocombustibili si aggira intorno ai 30 GJ. Lo studio dell’ITABIA [7] ha messo in evidenza che nel 1994 erano coltivati a girasole e colza 63000 ettari di terreni “set aside” con una produzione di biocombustibili per 0.046 Mtep. Nel 2004 tale produzione è aumentata a 0.280 Mtep, che corrispondono a circa 400000 ettari di coltivazioni. La praticabilità della coltivazione di oleaginose su circa 500000 ettari sembra possibile dal momento che i terreni “disponibili” per il “set aside” ammontano almeno a 800000 ettari. In tal caso la produzione energetica sarebbe di 15000 TJ, che corrispondono a 0.36 Mtep.
e) Il 15% del territorio italiano è coperto da boschi permanenti, che in parte sono utilizzati per la produzione del legname. Come si desume dalla Tab.2, questo territorio contribuisce oggi al bilancio energetico nazionale con circa 1.38 Mtep sotto forma di legna da ardere. Tale contributo potrebbe essere aumentato se si recuperassero gli scarti del taglio dei boschi, che oggi vengono lasciati sul terreno. Si valuta che tale recupero potrebbe aggiungere all’incirca 1.6 Mtep, portando il contributo delle coltivazioni boschive a circa 3 Mtep.
2.4 – Stima del potenziale tecnico praticabile
Riassumendo tutte le considerazioni precedenti in un’unica tabella quadro, si ottiene, per il potenziale tecnicamente praticabile da parte delle fonti rinnovabili in una prospettiva di medio termine, la seguente situazione.
Tab.4 – Potenziale tecnico praticabile per le NFER nel medio termine
1Valore stimato non compreso nel bilancio energetico ufficiale 2004
In definitiva, se si prescindesse dagli aspetti economici e si considerasse soltanto l’aspetto tecnico dello stato delle tecnologie e la disponibilità di terreni, si vedrebbe che l’attuale contributo delle fonti rinnovabili di circa 4.5 Mtep potrebbe essere portato nei prossimi anni a 23 Mtep, consentendo la rimozione di circa 64 Mt all’anno dalle emissioni annuali di CO2 (circa il 13% del totale delle emissioni annuali). Ciò corrisponde a quasi l’80% dell’obiettivo assegnato all’Italia dal Protocollo di Kyoto per il 2012.
In conclusione, il quadro tracciato non si dimostra adeguato alle esigenze del Protocollo di Kyoto del 1997 ed ancor più insufficiente esso appare nei confronti delle incombenze successive al 2012 che si stanno definendo in sede ONU per la nuova versione del Protocollo. E’ necessario pertanto verificare se nelle prospettive delle fonti rinnovabili esiste la possibilità di fare fronte alle future necessità.
3 – LO SVILUPPO NEL LUNGO TERMINE DEL POTENZIALE PRATICABILE
3.1 – La necessità dell’accumulo stagionale dell’energia
Si è visto che, a fronte del grande potenziale accessibile alle fonti rinnovabili, il potenziale tecnico praticabile si situa su un valore abbastanza piccolo. Indubbiamente tale valore è apprezzabile sul piano energetico, ma il suo ammontare non è risolutivo sul piano della questione ambientale. Osservando la Tab.6, si può notare che soprattutto il contributo delle fonti solari è limitato dagli effetti tecnici negativi dovuti all’intermittenza della produzione. Analizzando caso per caso tali limiti, si può vedere come e in che misura essi possano essere superati.
Rispetto al promettente valore della densità di energia, si è constatato che l’attuale durata del periodo utile di accumulo (pressappoco giornaliero) limita lo sfruttamento della fonte a circa il 30% dell’attuale fabbisogno di energia termica per usi domestici. Tuttavia, la tecnologia dei collettori solari è in costante miglioramento e così pure quella dei serbatoi coibentati per la conservazione del calore. Si può, pertanto, supporre che il tempo di accumulo utile aumenterà notevolmente, così da portare la quota di sfruttamento almeno ad un contributo almeno pari al 40% del fabbisogno termico nazionale, cioè alla produzione di circa 9 Mtep.
Si è visto che l’intermittenza può causare fenomeni di instabilità della rete elettrica, a cui le fonti debbono essere collegate. Ciò porta alla presenza di un limite alla quantità di potenza allacciabile alla rete. Si è anche stimato che le modalità attuali di funzionamento degli impianti solari ed eolici possono portare tale limite fino a tollerare l’allacciamento di circa 12500 MW di potenza rinnovabile. Se fosse possibile accumulare per tempi sufficientemente lunghi l’elettricità intermittente in modo da fornirla alla rete in forma più stabile nel tempo, la quantità di impianti in connessione potrebbe aumentare di molto. Di conseguenza, il contributo delle fonti rinnovabili potrebbe portarsi su un valore molto più alto. Purtroppo, l’energia elettrica oggi non può essere accumulata così come è, cioè sotto forma di elettricità. Essa pertanto deve essere convertita in un’altra forma di energia, che sia possibile accumulare, come ad esempio sotto forma di energia cinetica nei volani e nei gas compressi, gravitazionale nei bacini d’acqua elevati, chimica nei combustibili di sintesi e elettrochimica negli elementi delle pile elettriche. Se si sottopone ad una selezione tecnica tutta la gamma delle possibili opzioni di accumulo a fronte delle esigenze di mantenere l’energia in modo efficiente per periodi di tempo dell’ordine dei giorni e/o dei mesi, si vede che sopravvivono soltanto due sistemi di accumulo: quello negli accumulatori elettrochimici e quello nell’idrogeno [9].
Senza entrare in questa sede in una discussione dettagliata dei due sistemi, ciascuno dei quali mostra pregi e difetti, qui proviamo soltanto a sintetizzare l’argomento: allo stato attuale delle due tecnologie, l’accumulo elettrochimico appare praticabile, nel breve-medio termine, per immagazzinare energia per periodi di tempo che possono andare da qualche ora a qualche giorno, mentre per l’accumulo stagionale delle enormi quantità di energia richieste dalla necessità di sostituire il petrolio in tutti i settori d’uso (compreso quello dei trasporti), l’idrogeno appare come la tecnologia più appropriata (per il lungo termine).
In definitiva, pertanto, prescindendo dai problemi economici dovuti ai costi aggiunti e da quelli ambientali dovuti al riciclo dei rifiuti, che qui non consideriamo, la soluzione dell’accumulo elettrochimico per superare il limite di allacciamento alla rete elettrica sembra tecnicamente praticabile. Soprattutto in relazione al fotovoltaico applicato ad un modello di sviluppo decentrato con piccoli impianti collegati alla rete, l’inserimento di un sottosistema di accumulo elettrochimico di piccole dimensioni può migliorare la situazione degli inconvenienti dovuti all’intermittenza, permettendo complessivamente di superare in parte il limite di accettazione della rete. Possiamo ottimisticamente considerare per il medio termine che l’insieme delle fonti rinnovabili intermittenti possa arrivare ad un contributo di potenza del 30-40% del totale presente in rete, cioè a un massimo di 20000 MW con erogazione annuale di circa 34 TWh (7.5 Mtep).
Guardando le cose in una prospettiva temporale di medio-lungo periodo, possiamo considerare che le ricerche oggi in atto dovrebbero arrivare a risolvere i problemi tecnico-economici che, da una parte, limitano l’efficienza e la competitività delle fonti elettriche rinnovabili e, dall’altra parte, sono ancora da attuare per la penetrazione nell’uso dell’idrogeno come combustibile. La possibilità di realizzare il vettoriamento dell’energia solare nelle più diverse applicazioni (settore degli usi termici e auto elettrica ad esempio) costituisce una delle attrattive più forti per l’accumulo nell’idrogeno. Tenendo, poi, presente che la produzione elettrica da energia solare per un dato impianto è, d’estate, più alta di un fattore circa 3 rispetto alla produzione invernale, l’accumulo stagionale di energia nell’idrogeno permetterebbe di eliminare gli effetti negativi dell’intermittenza oraria e giornaliera e di ottimizzare il fattore di capacità annuale delle centrali a fonti rinnovabili, portandolo dal valore attuale delle 1500 ore equivalenti senza accumulo a valori confrontabili con quello (6000 ore) delle centrali convenzionali. Solo a questo punto, la potenza rinnovabile potrebbe assumere il ruolo sostitutivo di quella termoelettrica, perché il limite di accettazione degli impianti da parte della rete sarebbe rimosso completamente. In tal caso, e solo in tal caso, il potenziale praticabile potrebbe salire a valori confrontabili con quelli del fabbisogno elettrico nazionale (305 TWh = 67 Mtep).
In aggiunta, ulteriore potenza rinnovabile potrebbe essere dedicata alla produzione d’idrogeno da inviare agli altri settori di utilizzo di modo che, in linea di principio, l’intero fabbisogno nazionale di energia potrebbe essere coperto dalle fonti rinnovabili.
A prescindere dalle considerazioni economiche, il limite tecnico a questo discorso è chiaramente posto dalla disponibilità di aree in siti adeguati per la produzione eolica e solare.
Una stima grossolana di questo limite può essere desunta in base al seguente ragionamento. Per semplificare, supponiamo di usare soltanto il fotovoltaico. La densità di energia elettrica fotovoltaica a livello del suolo, come si è visto, è in prospettiva situata intorno ai 100 GWh/km2. Ciò corrisponde a 0.0086 Mtep/km2. Per soddisfare l’intero fabbisogno energetico italiano del 2004 di 197 Mtep, sarebbero quindi necessari 22907 km2, cioè il 7.6% del territorio nazionale. A prima vista tale territorio sembra un’enormità, soprattutto se lo si considera in modo conflittuale con l’agricoltura tradizionale. A ben guardare, però, esso corrisponde pressappoco alla quota delle aree agricole abbandonate oggi esistenti, comprese le coperture degli edifici industriali. In definitiva, la disponibilità delle aree per gli impianti non costituisce un limite alla produzione di energia rinnovabile nel nostro Paese.
Tra tutte le fonti rinnovabili le biomasse soffrono poco degli inconvenienti legati all’intermittenza della fonte solare. Infatti, l’energia solare viene immagazzinata nei vari prodotti della fotosintesi sotto forma di energia chimica e, come tale, essa può essere conservata per lunghi periodi di tempo prima dell’uso finale. Quindi le biomasse possiedono una capacità di accumulo dell’energia , anche stagionale, che consente di superare gli effetti dell’intermittenza temporale della produzione fotosintetica. Esiste, però, un altro limite allo sviluppo della produzione: si tratta della disponibilità di aree agricole adeguate alle coltivazioni energetiche, non conflittuali con l’agricoltura convenzionale. Le dimensioni molto limitate dei terreni sfruttabili con coltivazioni energetiche nel nostro Paese costituiscono il limite principale per l’aumento del contributo delle biomasse al bilancio energetico nazionale. Tuttavia, in una prospettiva di lungo periodo, è ipotizzabile un generale miglioramento dell’efficienza colturale, sia per la selezione di nuove specie di piante a rapida crescita e ciclo colturale più breve, sia per l’intervento delle biotecnologie sul processo di trasformazione fotosintetico con l’ottenimento di una più alta efficienza. Quindi, anche se la quantità dei terreni messi a coltura potrà aumentare di poco, ci si può attendere ugualmente un certo aumento della produzione della biomassa per usi energetici. A titolo di esempio, si può citare il caso attuale della messa a punto in USA della coltivazione intensiva del miscanto (erba elefantina). I primi risultati sperimentali mostrano una produttività di circa 40 tonnellate di materia secca per ettaro, cioè il doppio di quanto ottenuto con le colture delle piante lignee finora usate.
Pertanto, è possibile ipotizzare che il contributo delle coltivazioni a corta rotazione possa più che raddoppiare nel lungo periodo, portandosi a circa 4 Mtep.
Mentre è da ritenere molto difficile aumentare la quota prodotta dagli scarti agricoli, si può ipotizzare nel lungo termine un raddoppio della quota di produzione dei biocombustibili essenzialmente per il miglioramento della produttività dovuto all’intervento delle biotecnologie, arrivando fino a circa 0.7 Mtep.
4 – IL POTENZIALE PRATICABILE IN PROSPETTIVA
La Tab.6 riassume tutti i risultati della precedente analisi prospettica, mostrando un’ipotetica situazione di sviluppo nel lungo termine del potenziale praticabile da parte delle nuove fonti di energia rinnovabile. In essa il contributo del solare termico e delle biomasse è stato considerato in leggero aumento rispetto al medio termine, mentre si è dato ampio risalto al contributo atteso dalle fonti solari elettriche.
Tab.5 – Sviluppo del potenziale tecnico nel lungo termine
(1) Si è usata l’equivalenza energetica degli usi elettrici (1 TWh = 0.22 Mtep)
(2) N è il rapporto tra l’area dedicata agli impianti e quella specifica per produrre 1 Mtep. N è un numero che può crescere
(nel tempo) in dipendenza dal miglioramento dell’efficienza di conversione e dall’area disponibile per gli impianti
Come si può notare, la prospettiva di sviluppo parte dalla situazione praticabile nel medio termine di 23 Mtep/anno, vede un passaggio intermedio di 28 Mtep/anno nel processo verso un obiettivo di lungo termine che potrà andare da circa 31 Mtep/anno ad una cifra molto più alta, (31+N) Mtep, in dipendenza dal valore possibile di N, cioè dalla volontà politica di dedicare alle centrali solari elettriche una parte considerevole delle aree marginali esistenti nel Paese. A titolo di esempio, si consideri che per il fotovoltaico 1 Mtep di energia per usi finali generali (1 kWh = 860 kcal) è prodotto ogni 116 km2 di terreno occupato dagli impianti e quindi, se si volesse impegnare un area pari alla metà dei suoli marginali, cioè 10000 km2, si avrebbe N = 86 Mtep e il contributo delle rinnovabili sarebbe pari a 31+86 = 117 Mtep, cioè il 59% dell’attuale fabbisogno energetico del nostro Paese.
Supponiamo di voler produrre i 3.8 Mtep all’anno per Kyoto con un mix di fonti rinnovabili costituito dal 20% di ciascuna fonte. Allora dovremo occupare 37 km2 con i collettori solari termici, 51 km2 con i pannelli fotovoltaici, 59 km2 con i collettori a specchi parabolici, 76 km2 con gli arogeneratori, per un totale di 223 km2 di aree marginali, a cui si dovrà aggiungere un’area agricola coltivata a biomasse di 760 km2.
Prescindiamo ovviamente dall’impatto ambientale delle biomasse, che è quello usuale delle coltivazioni agricole, ed occupiamoci del resto. Si deve registrare che il rispetto del Protocollo di Kyoto comporta che ogni anno occorre reperire 223 km2 di nuove aree marginali e ciò per almeno 8 anni, fino ad arrivare all’occupazione di 1784 km2 con impianti di nuove fonti rinnovabili.
E’ allora evidente che, a prescindere dai costi economici di una tale soluzione, la dimensione dell’area totale occupata dagli impianti non può non destare preoccupazione circa l’impatto ambientale prodotto sulle linee del paesaggio preesistente.
E’ chiaro che un mix diverso di fonti rinnovabili porterebbe a valori differenti, tuttavia l’ordine di grandezza delle aree necessarie non cambierebbe di molto, in quanto alla base dei numeri sta comunque il fatto fisico che l’energia solare primaria (da cui derivano tutte le fonti rinnovabili) possiede una bassa densità superficiale e, quindi, la sua raccolta richiede necessariamente aree molto ampie.
L’impatto territoriale è dunque inevitabile. Si tratta di scegliere tra le diverse fonti rinnovabili, privilegiando quelle opzioni che portano ad un impatto paesaggistico minore. Infatti, senza entrare nel merito di un’analisi di dettaglio circa i diversi tipi d’impatto prodotto dalle varie fonti, limitiamoci ad osservare che l’aspetto più rilevante che accomuna tutte le fonti è costituito senza dubbio dall’impatto visivo, cioè, dall’alterazione visiva delle linee del paesaggio causato dalla presenza degli impianti.
1. La quantità di energia rinnovabile proveniente dalle nuove fonti rinnovabili è oggi poco significativa rispetto alle necessità derivanti dagli impegni di Kyoto per l’Italia.
2. Il potenziale energetico delle NFER è confrontabile rispetto al fabbisogno nazionale d’energia e quindi l’uso su larga scala di energia rinnovabile potrebbe contribuire al risanamento ambientale.
3. L’intermittenza delle fonti introduce barriere tecniche ed economiche che impediscono oggi di produrre quantità di energia elettrica in misura adeguata al compito ambientale.
4. L’attuale modello per lo sviluppo delle fonti rinnovabili (sistemi senza accumulo) non permette di rispettare con questo mezzo gli impegni di Kyoto.
5. Occorre intervenire con azioni di R&S sul sistema dell’offerta, migliorando le tecnologie in modo da superare le barriere tecniche ed economiche.
6. Occorre completare i sistemi di produzione con impianti di accumulo dell’energia a basso costo in modo da svincolare l’erogazione di energia agli utenti dalla intermittenza della generazione.
7. Occorre trovare il modo di vettoriare l’energia rinnovabile nel settore dei trasporti così da arrestare l’incremento dell’inquinamento prodotto dagli autoveicoli.
8. Senza questi interventi, le incentivazioni pubbliche attuali poste sullo sviluppo del mercato delle rinnovabili rischiano di produrre risultati poco efficaci rispetto alle necessità del risanamento ambientale.
1 - Enea: Rapporto Energia e Ambiente 2005
2 - Ministero Ambiente, 1997, Seconda Comunicazione Nazionale dell’Italia alla Convenzione-quadro sui cambiamenti climatici, Sintesi in “La Riduzione delle Emissioni di Gas Serra: l’impegno per l’Italia”, IDIS – ENEA, Edizione CUEN - Napoli
3 - Avella R., Caserta G., Dominici F. (1988), Prospettive di colonizzazione di aree marginali per colture energetiche e industriali, PFE2, RF-29, Roma
4 - CESI, Dip. Fisica Un. Genova,(2002), Atlante Eolico dell’Italia, Genova
ENEA, (2004), Rapporto Energie e Ambiente, Roma
5 - Palz W., (1984), Atlas Europeen du Rayonnement Solaire, Verlag TUV Rheinland, Bruxelles
6 - ITABIA (1995a), Altener Programme: Agricultural and Forestry Biomass – Final Report from Italian National Team, ITABIA-EC, Roma, Settembre
7 - ITABIA (1995b), Liquid Biofuels, Production and Use – Final Report from Italian National Team, ITABIA-EC, Roma, Settembre
9 - Coiante D., 2004, Le nuove fonti di energia rinnovabile, Edizioni Franco Angeli, Cap.IX
Ringrazio il Prof. Ugo Bardi per la pazienza dimostrata nel leggere la bozza e per le utili osservazioni effettuate.